sabato 10 aprile 2010
RACCONTI PARTIGIANI - "UN SOGNO BELLISSIMO" LA TESTIMONIANZA DI LUCHINO DAL VERME (n°2 - novembre 2009)
Torre degli Alberi, Zavattarello, valle Staffora, valle Coppa: non c'è persona in queste terre che non conosca il nome Maino. Questo era il nome di una famosa marca di biciclette di inizio secolo, ma non è il riferimento giusto, almeno non del tutto. Maino era il nome di battaglia di un partigiano, Luchino dal Verme. Al momento di scegliersi un nome, dal Verme si era dato quello della sua amata biciletta, Maino, appunto. Prima di essere partigiano, Maino era anche un conte, delle famiglie più antiche; era stato un ufficiale delle artiglierie a cavallo, le Voloire, anch'esse discendenti da un reparto storico dell'esercito piemontese. Ma con l'8 settembre del '43, dal Verme abbandona la tradizione, quelle regole che all'improvviso gli sembrarono non solo antiche, ma sapenti di muffa, stantie. “È difficilissimo riuscire a spiegare quello che abbiamo vissuto. Noisiamo uomini d'azione, non siamo fatti per raccontare, ma ci proverò lo stesso”. Con queste parole Luchino dal Verme inizia la sua storia. Nato a Milano nel 1 91 2, discende da una delle più antiche famiglie nobiliari del nord Italia.Fin da ragazzo viene educato a servire con fedeltà assoluta il suo paese e il suo re, un Savoia, membro di una famiglia cui i Dal Verme erano stati precettori. “Nel '40 mi sono trovato a dover puntare i miei cannoni contro la Francia, e non riuscivo a capire il perché – spiega Maino – il mio colonnello mi diceva che non dovevo domandare, ma eseguire gli ordini che il nostro re ci aveva dato. Mi sono trovato in Russia a fare una guerra che era dei tedeschi, e sempre in nome del re. Ma chi era questo re? Era un bastardo! Ma ce ne accorgemmo solamente l'8 di settembre”.“L'8 settembre del 1 943 fu un colpo al cuore per me come per migliaia di altri giovani ragazzi come ero io. All'improvviso ci trovammo abbandonati da coloro che fino al giorno prima ci avevano guidato, non sapevamo cosa fare, contro chi combattere, ma soprattutto perché farlo”. Le parole di Luchino suonano come cannonate. “D'un tratto ci rendemmo conto che non contava più il dovere, basta, crollato! Era nata la parola coscienza. Significava che da quel momento avremmo risposto davanti a noi stessi, a ciò in cui credevamo, questo è ciò che avvenne”.La storia continua. “La parola d'ordine era scappare, ma da cosa? Scappavamo sì dai tedeschi, dalla prigionia, o dal fascismo, ma in fondo fuggivamo via dalla nostra storia, da quel dovere che avevamo rinnegato”. Dal Verme tornò a casa, e passarono mesi prima che le prime formazioni partigiane organizzate si formassero. Dopo la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale, quei gruppi di sbandati, fuggiti dalle città, dal fascismo e dalla guerra, diventarono brigate partigiane.“Nell'Oltrepò c'erano i comunisti – racconta Maino - e data la mia esperienza in guerra mi offrirono il comando di una brigata garibaldi, la Aldo Casotti. Io accettai, e iniziarono gli scontri”.L'Oltrepò si trova proprio a ridosso della via Emilia, e proprio questa caratteristica permise ai partigiani della Gramsci (la divisione il cui comando verrà affidato allo stesso Maino) di ottenere delle grandi vittorie. “Ci chiamavano ribelli, e questo nome a noi piaceva. Eravamo soliti attaccare le colonne di fascisti che transitavano sulla statale, ma qualche volta assaltavamo anche i treni che passavano sulla ferrovia lì vicina. D'inverno faceva freddo, tanto, e la fame si sentiva. Tutti nella valle ci aiutavano. Ci facevano dormire nelle loro stalle, rischiando di trovarsi la casa bruciata dai fascisti. Ci sfamavano, molto spesso privandosene, ci avvisavano quando i tedeschi salivano in collina per fare qualche incursione. Gli americani facevano dei lanci sugli appenniniper rifornire i partigiani, ma a noi non lanciavano mai niente, perché eravamo comunisti”.I mesi passarono ed arrivò il 25 aprile. “Arrivò l'ordine di mobilitazione, e noi partimmo verso la pianura. Liberammo prima Casteggio, poi arrivò l'ordine di proseguire verso Milano”.“Oggi mi chiedo se valeva la pena di fare quello che abbiamo fatto. Certo che ne valeva la pena! L'8 settembre aveva cancellato tutti i valori, e col 25 aprile se ne sono stabiliti di nuovi – tuona Maino – anche oggi mi aspetto che succeda qualcosa che faccia pulita di tutti i valori su cui viviamo, tutti questi partiti che parlano parlano senza fare niente. Sembra che la dignità sia scomparsa, come allora mancava la volontà di reazione, e anche oggi sembra che sia mancata la volontà di reazione.Il 25 aprile abbiamo fatto un sogno bellissimo, e ci siamo svegliati liberi”.
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ANTIFASCISMO,
Numero 2 - Novembre 2009
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