sabato 10 aprile 2010

LA CRISI A PAVIA E PROVINCIA. INDOVINA CHI LA PAGA (n°2 - novembre 2009)

I lavoratori di Pavia e provincia stanno continuando a pagare gli effetti della crisi. Nei primi 6 mesi dell’anno la produzione industriale in provincia è scesa del 9% rispetto al 2008, con un crollo a luglio: -27%. I dati continuano a presentare tutti il segno meno davanti anche a settembre, sia a livello nazionale sia locale. Più di metà delle imprese ha fatto ricorso alla cassa integrazione, con punte del 90% nel calzaturiero vigevanese, per un totale, quest’anno, di più di 8 milioni di ore (4 volte in più rispetto a tutto il 2008). Con la fine di agosto, solamente nel settore metalmeccanico, 1800 operaisono passati dalle ferie direttamente alla cassa. In molti casi è terminata o sta per finire la cassa ordinaria e la situazione rimane incerta. Dal primo agosto sono in cassa integrazione straordinaria i 1 80 operai della Brasilia di Retorbido, nel vogherese, produzione di macchine per il caffè. Lo stesso stato di incertezza riguarda più di 500 lavoratori di alcune importanti aziende lomelline: i 96 della Sigma, ancora in attesa di un nuovo acquirente, i 1 25 della Comez, i 96 tessili della Mapier, in cassa straordinaria da aprile, le 30 operaie della Mecab, i 190 della Cablelettra, componentistica per auto, il cui destino è in mano a un commissario straordinario dopo la messa in liquidazione per insolvenza. Dal dicembre 2008 è in liquidazione la Maut di Medassino, realizzazione e installazione di macchine utensili personalizzate, sia in Italia sia all’estero, 30 dipendenti attualmente in cassa straordinaria. Va verso la liquidazione anche la Massoni di Stradella, con 40 dipendenti che stanno pagando per i contrasti tra i due fratelli-padroni. In più si trovano a trattare con una proprietà che non rispetta le regole, visto che la cassa straordinaria è stata comunicata senza il preavviso e le consultazioni tra le parti previste dalla legge. A inizio ottobre gli operai hanno annunciato lo sciopero ad oltranza, in attesa degli incontri con il liquidatore e con la regione.Qualcuno dice che l'ampio ricorso alla cassa integrazione significa che licenziamenti e chiusure non sono massicci. Intanto i posti persi negli ultimi due anni in tutta la provincia hanno superato i 3200 e sono circa 2000 da gennaio. Senza dimenticare chi non rientra nelle statistiche semplicemente perché non ha diritto agli ammortizzatori sociali, ovvero tutti i precari lasciati a casa da un giorno all’altro, senza seccature per il padrone e a costo zero per le istituzioni.Con l’estate ha chiuso, dopo anni di crisi, lo stabilimento Cagi ùMaglierie di Cilavegna, lasciando senza lavoro i 37 dipendenti. Saltate le trattative sul ridimensionamento e sui bonus, a luglio la Cielle di Casteggio ha licenziato 30 operai. Il giudice del lavoro dovrà stabilire se l’azienda ha agito in modo legittimo. Da inizio settembre sono senza lavoro i 34 dipendenti dell'ormai ex cartiera di Torremenapace, vicino a Voghera: solo in 1 2 hanno trovato un posto, quasi tutti precario. Ai primi di ottobre la Fiscagomma di Vigevano, produzione di simil-pelle per calzaturiero e arredamento, ha aperto la procedura di mobilità per 55 dei 1 50 dipendenti, dopo un lungo periodo di cassa integrazione. Il 21 novembre scadrà l’anno di cassa straordinaria per 33 dei 1 03 operai della Record di Garlasco, materiali per l’edilizia. Si tratta solo di esempi, la situazione di crisi è generalizzata e riguardain molti casi piccole attività che quando chiudono o tagliano il personale non fanno notizia (per esempio, sui 214 licenziati di luglio, 181 lavoravano in impresesotto i 1 5 dipendenti). È particolarmente dura lasituazione dell’edilizia: in questo settore c’è stato un calo del 20 dell’occupazione (1200 posti persi negli ultimi 1 2 mesi) e sono in aumento gli episodi di padroni indebitati che all’improvviso smettono di pagare gli stipendi. Intanto cresce il lavoro nero e diminuiscono i tempi di esecuzione: non sono un caso i 4 morti nei cantieri della provincia negli ultimi tre mesi.Un discorso a parte è quello della Eckart di Rivanazzano: qui la crisi c’entra fino a un certo punto, visto che i bilanci erano in attivo e gli ordinativi c’erano. Lamultinazionale delle vernici ha comunicato a inizio settembre di voler chiudere lo stabilimento, fregandosene di 70 lavoratori, per godere degli sgravi fiscali concessi dal governo tedesco a chi riporta l’attività in Germania.Il lungo sciopero non è bastato a mettere in discussione lo smantellamento della fabbrica. Dal 201 0 rimarrà a Rivanazzano solo la commercializzazione della Eckart, che occuperà una decina di persone. Tutti gli altri hanno ottenuto un anno di cassa straordinaria prima del periodo di mobilità, più un “buono uscita”che andrà da 20 a 50mila euro per dipendente. Con la prospettiva di dover trovare un nuovo lavoro in un periodo nero e in una zona già colpita da diverse chiusure, tra cui quella della Ilva di Varzi con 80 posti di lavoro bruciati meno di un anno fa.

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