sabato 10 aprile 2010
BOICOTTARE ISRAELE (n°2-novembre 2009)
articolo scritto per Osservatorio IraqA Pisa si fail punto sulla campagna BDSUn nuovo approccio nelle relazioni con la società civile palestinese improntato sul boicottaggio dei prodotti e delle aziende israeliane, allo scopo di porre fine allo stato di occupazione e di apartheid in Palestina.Nasce con questi intenti la campagna globale di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni (Bds), lanciata il 9 luglio 2005 da un collettivo di associazioni palestinesi per il persistente mancato rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di Tel Aviv.L'appello, ispirato alla campagna che ha portato alla sconfitta dell’apartheid in Sud Africa, è stato sposato nel tempo da molteplici realtà della società civile internazionale, ma anche dal governo norvegese, che ha fatto propria l’arma del disinvestimento, e dalla piattaforma unitaria dei sindacati inglesi.Della campagna Bds si è parlato in un meeting internazionale organizzato presso il centro sociale Rebeldìa dal gruppo Bds-Pisa, che fa parte della rete nata in Italia dopo l'offensiva israeliana a Gaza “Piombo Fuso”.Ospiti una ventina di realtà della società civile italiana - da Un ponte per all’International Solidarity Movement (Ism), passando per la Fiom - e straniere, sia israeliane che palestinesi). Platea eterogenea quindi, come diversi sono gli approcci alla campagna e le strategie d'azione proposte, comunque convergenti nel colpire in maniera consistente l’economia israeliana per mezzo di tattiche di boicottaggio nonviolento.Le realtà presenti, in una due giorni molto partecipata, hanno passato al vaglio i target della campagna: imprese italiane che hanno dislocato parte della produzione in Israele, come la Lavazza, o che creano sinergie con Tel Aviv, come il Cts; aziende israeliane che primeggiano nell'export in Europa nel campo della cosmesi, della farmacologia e dell'agricoltura, senza prendere le distanze dalla politica del proprio Stato; imprese internazionali che attraverso la produzione di alta tecnologia e prodotti informatici di precisione sostengono di fatto l'apparato militare israeliano.Particolare attenzione è stata poi data all'organizzazione della logistica di queste attività commerciali, ed il territorio italiano gioca a proposito un ruolo di prim'ordine: il porto di Savona-Vado, ad esempio, è il centro di smistamento dell'Agrexco, colosso della frutta secca made in Israel.Largo spazio nel meeting di Pisa è stato dedicato anche al delicato tema del boicottaggio culturale e accademico, partendo dalle polemiche scaturite alla fiera del libro di Torino o delle dichiarazioni della cantante Noa poco dopo l'avvio dell'operazione “Piombo Fuso”. Gli obiettivi del Bds sono quelle istituzioni (mai persone) israeliane che non si oppongono espressamente alle politiche di governo, e quelle internazionali che finanziano progetti di ricerca high-tech in Israele, con espliciti o impliciti risvolti nel settore militare. Interessante database online sull’argomento è costituito dal Cordis, che - adottando come variabili da una parte gli atenei che hanno rapporti diretti con università israeliane e dall’altra gli enti culturali israeliani costruiti su territori occupati che collaborano direttamente o indirettamente con l’esercito - consente di monitorare quanti e quali progetti sono in corso. Attività di questo tipo sono utili trampolini per la campagna, che permettono di raccogliere con semplicità informazioni specifiche sul territorio.Il maggior successo della campagna è stata la capacità di coinvolgere in Europa sindacati e governi. Per ottenere un consenso che vada oltre la società civile – è stato ricordato a Pisa - è necessario lavorare a fondo nell'informazione e nella sensibilizzazione. Il boicottaggio, tanto dei beni di consumo quanto culturale, ne deve essere il naturale risultato. Il rischio è altrimenti il persistere in mobilitazioni che coinvolgono una fetta troppo esigua di popolazione, restando estranee alla massa: una strategia di boicottaggio per essere efficace deve essere il più possibile diffusa. Il Sud Africa in lotta aveva dalla sua parte un serbatoio immenso di consensi. In questo senso, campagne come l'Israeli Apartheid Week, che si propone di introdurre negli atenei momenti di riflessione sulla questione palestinese, devono prendere piede sopratutto in Paesi dove il disinteresse e la scarsa informazione primeggiano.La proposta degli attivisti spagnoli di organizzare un controvertice il 6 giugno in occasione del Forum del Mediterraneo che vedrà ospite d'onore Israele, ha certamente il suo valore ma difficilmente farà breccia fra la gente. Rischia di essere l'ennesimo appuntamento di disobbedienza in una veste che ha esaurito il suo percorso. Con l'eventualità di incrinare il legame che le istituzioni stanno a fatica tessendo tanto con la causa palestinese, quanto con la campagna di boicottaggio.Altra questione è il coinvolgimento dei partiti palestinesi. L'appello della campagna appartiene esclusivamente alla società civile, e non si hanno notizie circa posizioni a riguardo della politica palestinese. Un coinvolgimento dell'establishment partitico aprirebbe un interessante ventaglio di prospettive: sia in una chiave di rapporti diretti con la politica occidentale, sia nel seguito che l'appello può riscuotere tanto nel mondo arabo quanto in paesi legati a collaborazioni sud-sud.
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MEDIORIENTE,
Numero 2 - Novembre 2009
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