Da oltre un mese la Grecia è sulle prime pagine dei media europei ed internazionali. La condizione economica di Atene ha creato nel momento della rivelazione una preoccupazione diffusa in tutta l'area euro. Preoccupazione per le conseguenze di un rischio default, per la voragine nelle casse di uno stato del circuito euro: timore di contagio di altri stati-euro deboli, paura di un allargamento a macchia d'olio, dibattiti attorno al “chi” si farà carico del peso necessario per, se non sanare, salvare la Grecia.
Poco o nulla si è detto sulla storia recente del paese, su un'economia malata, corrotta e falsificata da cinquanta e più anni. E’ apparsa qualche riflessione sui dati “ritoccati” forniti da Atene durante i cadenzati steps per monitorare l'ottemperanza ai parametri di Maastricht: mancavano e mancano tutt'ora autorità europee in materia, persiste la falla di un istituto sovranazionale di controllo e armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie degli stati membri.
Al momento dello scoppio della bolla ellenica al governo c'è il Pasok di Georges Papandreou, partito socialista eletto lo scorso ottobre con il 43,94% dei voti e 160 dei 300 seggi dell'unica camera. Il Pasok non è una novità nella scena politica greca, anzi: assieme a Nea Dimokratia (destra, uscente dal governo) compone le due famiglie dei potenti che dal 1950 dominano indiscusse la scena politica.
Le famiglie partitiche si intrecciano a maglie strette con le famiglie di sangue: l'attuale premier Papandreu è nipote del suo omonimo (figura di spicco della politica greca dopo la seconda guerra mondiale) e figlio di Andreas (fondatore del Pasok e primo ministro negli anni Ottanta). Dall'altra parte, l'ultimo ministro di Nea Dimokratia, Konstantinos Karamanlis, è omonimo di suo zio, fondatore del partito; mentre uno dei possibili eredi nel partito di Karamanlis, Dora Bakogiannis (già sindaco di Atene) è figlia dell'ex primo ministro Konstantinos Mitsotakis.
L’economia greca è sommersa, i migranti sono impiegati come forza lavoro sottopagata e gravemente sfruttata. Le tasse sono poche e basse, con tassi d’evasione alle stelle: la situazione da una parte permette ai greci di consumare alla grande (case di proprietà, terreni, automobili, cellulari, consumo di alcolici e record UE di obesi), e dall'altra, inevitabilmente, limita le possibilità di intervento dello Stato. La corruzione è parte radicata e invasiva di tutti i livelli della vita pubblica, dalle mazzette per avere un posto letto in ospedale, a quelle per un permesso di costruzione, arrivando alle assunzioni di tipo clientelare nella pubblica amministrazione ai grossi scandali politico-economici.
A completare il quadro sono le (esagerate) spese militari, ulteriore zavorra nel bilancio dello Stato. Francia e Germania, principali fornitori, traggono enormi vantaggi nel vendere al governo greco armi obsolete a prezzi rincarati: il tornaconto Atene l’ottiene in ambito europeo, vendendo tanti occhi chiudersi davanti ai propri conti truccati e ritoccati, quantomeno fino allo scandalo di inizio febbraio.
Papandreou prometteva di “cambiare il paese”, di trascinarlo fuori dal pantano economico ancora nascosto ai riflettori europei, di “rimettere il Paese sui binari della ripresa e dello sviluppo” senza perdere tempo. Ma il tempo, si sa, è tiranno e la minestra riscaldata non ha tempo e forza di sfamare: anche in un arco temporale dilatato non avrebbe intrapreso la strada delle riforme radicali auspicate dal paese. Il Pasok ha contribuito alla crisi, ammalandosi di nepotismo, tangenti e falsi in bilancio: Andreas Papandreou, padre di Georges e leader del Pasok, fu promotore degli sprechi nel momento utile per sanare i conti, successivo all'ingresso della Grecia nella Cee (avvenuto nel 1981) e del conseguente afflusso di (ingenti) finanziamenti europei.
L’alternativa si era proposta agli elettori. Non di certo la compagine a struttura stalinista del Kke, ancorata ad un'interpretazione della società non aggiornata quando non obsoleta, determinata a non innovarsi in forza del 7,5% (e 21 seggi) di veterani. Il riferimento è piuttosto a Syriza, Coalizione della Sinistra Radicale fondata nel 2004, già presente in parlamento con 14 seggi (5,04% alle politiche del settembre 2007). Il suo leader, il trentaquatrenne Alexis Tsiparas, interpreta a dovere la situazione greca, parla ai giovani precari e disoccupati e agli studenti mobilitati contro le politiche del governo, senza tralasciare donne e ambientalisti, con una dialettica e un programma adeguato ad un contesto europeo neoliberista in cui la Grecia si mostra repressiva, corrotta, indebitata e priva di proposte e persino di interesse per i suoi giovani.
Se le urne non lo hanno premiato (4,6% e 13 deputati) la ragione va innanzitutto ricercata nella propaganda al voto utile, disperato e decisivo cavallo di battaglia del Pasok necessario a scalzare Nea Dimokratia e garantire quella persistente illusione di democrazia che è l'alternarsi al potere dei due maggiori partiti (ND e Pasok), veri responsabili della crisi. L'impegno teso a identificare Syriza a “rifugio dei 'casseurs' ” ha ulteriormente contribuito ad alimentare le promesse di riscatto democratico dei socialisti.
Questo per quanto riguarda le cause endogene, importanti ma non esclusive: al suo interno la coalizione è perennemente dilaniata da continui litigi tra le varie componenti, a tal punto da dilapidare in pochi mesi l'enorme consenso che aveva conseguito ponendosi come unica forze politica dialogante con i rivoltosi del dicembre 2008. Anche il suo rapporto con i movimenti è tutt’altro che ottimo, con le solite accuse di “pescare” voti e di fare da “pompiere”.
Syriza parla alla “generazione dei 700 euro” (680 euro è il minimo sindacala garantito) e a quelli (tanti) per cui 700 euro al mese sono una speranza. Parla agli studenti medi, liceali e universitari scesi in piazza nell'autunno 2008 assieme a Alexis Grigoropoulos, il quindicenne ucciso in piazza dalla polizia. Atene, Salonicco, Patrasso, Larissa, Eraklion, Ionnina, Volos, Kozani, Komotini erano in mobilitazione, occupate da migliaia di manifestanti giovanissimi (dunque non votanti) senza fiducia nei partiti e nello stato, costretti in un paese indebitato con la prospettiva di un futuro quantomeno precario, certamente privo delle aspettative che hanno caratterizzato la generazione precedente.
La rabbia si manifestò nelle strade dense di studenti affiancati dai lavoratori, radicale, incappucciata e capillare, memore dell'odio marchiato dai colonnelli, aizzato dalla repressione. Media e governo hanno avuto facili pretesti per inquinare l’informazione, riprendendo barricate, incendi e banche assediate, riducendo i fatti a un perverso “attentato contro la democrazia”, senza offrire al pubblico l’interrogativo sulle ragioni in capo alla rivolta.
Alla protesta ha fatto seguito la tornata elettorale, e al voto la speranza nel cambiamento, che ha contribuito a cancellare l'immagine di un paese messo a ferro e fuoco dai propri giovani, disperati e disillusi. A quindici mesi dalla protesta l'Europa si è accorta delle condizioni in cui versa la Grecia, portando all'attenzione pubblica lo stesso disagio manifestato dalla piazza, seppur circoscritto ai connotati economici e, sopratutto, privo di un (necessario) filo conduttore con la stessa. Il Pasok adotterà politiche economiche più austere per compiacere il creditore di turno, evitando la bancarotta ed aggravando la già drammatica situazione sociale, che vede in queste settimane dipendenti pubblici, agricoltori ed altri lavoratori agitarsi in piazza, destabilizzando un equilibrio di per sé già instabile.
E' necessario soffermarsi e comprendere che la crisi e le soluzioni proposte non sono un’esclusiva greca. In contesto europeo si parla, con un acronimo azzeccatissimo, di piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), le ultime ruote, trasandate e malate, di un’Europa complice in profonda crisi economica e d'identità. La Grecia ha solo aperto la strada, iniziando una lunga lotta sociale ed erigendo un'interessante, seppur problematica novità, Syriza, i cui connotati appaiono sconosciuti e terribilmente distanti dallo scenario politico (non solo parlamentare) nostrano.
La grande incognita è cosa succederà ora, col Pasok costretto a barcamenarsi tra le pressioni dell'UE, che ha imposto tagli indiscriminati alla spesa pubblica (iniziando dalle pensioni), e la paura che il paese si rivolti con ancor più rabbia. Probabilmente non accontenterà nessuno dei due.
Nessun commento:
Posta un commento