venerdì 28 maggio 2010

MODENA, 19 GIUGNO 2010, UN CORTEO NAZIONALE CONTRO I C.I.E. Pubblichiamo l'appello lanciato dal "Coordinamento per il 19 giugno" (n°4 - giugno 2010)


All’interno di un percorso di lotta che parte da lontano e che si è andato intensificando negli ultimi mesi qui a Modena e a Bologna, in Italia e in generale in Europa, con scioperi della fame, rivolte, fughe dei reclusi, e presidi, presenze nelle città, azioni di sostegno dei solidali, promuoviamo un corteo a Modena per il 19 giugno 2010.
Contro i Cie, perché sono i lager odierni in cui vengono rinchiusi gli immigrati senza le carte in regola per vivere nei paesi dei ricchi. Contro le deportazioni, chiamate spudoratamente rimpatri. Contro la funzione di questi centri, che è quella di tenere sotto minaccia della privazione della libertà individui da annientare e rendere quindi disponibili per lavori da schiavi. Contro chi li gestisce, perché lucra sulla miseria, come la Croce Rossa e la Misericordia che si presentano dissimulati sotto un’aurea caritatevole o le Cooperative della Lega Coop che si spacciano come promotrici della mutualità e della solidarietà. Contro tutte le aziende che si arricchiscono con appalti per fornire servizi all’interno come la Concerta spa e la Sodexo. Contro tutti gli uomini in divisa che, nell’adempimento del loro “dovere” di carcerieri, nei Cie massacrano e stuprano. Contro il Cie di Modena, gestito dalla Misericordia di Daniele Giovanardi che, attraverso i suoi metodi da piccolo dittatore fatti di propaganda da un lato e asservimenti, soprusi, divieti, restrizioni e isolamento praticati sui reclusi dall’altro, sperimenta un modello esemplare per altri Cie in Italia. Contro Frontex, l’agenzia che gestisce e organizza le deportazioni per i paesi europei e controlla le frontiere. Contro la propaganda razzista. Contro il silenzio complice dei «bravi cittadini».
Insieme a chi brucia i Centri di detenzione. Insieme ai rivoltosi di Rosario. Insieme a chi non si arrende e lotta con i mezzi che ha a disposizione: rivolte, scioperi e fughe. Insieme a chi non gira la testa dall’altra parte
Fuori i reclusi dai Cie
Fuori i Cie dal mondo


Il circuito dello sfruttamento
I Cie, ex Cpt, sono luoghi di detenzione amministrativa sottoposta all’autorità di polizia quindi, da un punto di vista giuridico, propriamente equiparabili ai Lager nazisti. Istituiti dalla sinistra nel 1998 e condotti a compimento dalla destra, sono parte integrante e costituente di un meccanismo perfettamente oliato che alimenta il circuito dello sfruttamento. La politica razzista, con le sue leggi e la sua propaganda, incalza l’immigrato schiacciandolo nell’angolo per renderlo sfinito e umiliato schiavo, un pezzo utile da mettere a profitto nei tempi della produzione o in quelli del business del “divertimento” sessuale. Nei Cie vengono rinchiusi immigrati senza il permesso di soggiorno, ma non solo. Ci sono persone che hanno richiesto l’asilo politico, che hanno lavoro e carte in regola ma con vecchi decreti di espulsione sulle spalle, che hanno finito di scontare una pena in carcere e donne, tante donne, in molti casi vittime della tratta. Gente che è sfuggita da guerre, persecuzioni, maltrattamenti e prostituzione. E fame. Guerre e fame che il capitalismo occidentale produce per continuare indisturbato a dominare e a razziare il mondo.
Resi clandestini per la sventura di arrivare da paesi disgraziati, sotto laminaccia costante e continua di essere internati e deportati, di venire fermati per strada, negli autobus, nei treni e trattati come bestie, di venire separati dagli affetti più cari, di finire nuovamente nelle grinfie di sfruttatori e “protettori” senza scrupoli, vivono in balia della malvagità di chi esegue gli ordini del potere.
Il meccanismo dello sfruttamento per funzionare ha bisogno di un braccio armato fatto non solo di sbirri e militari, ma anche di controllori di autobus e treni che, solerti, scovano immigrati clandestini e li consegnano nelle mani delle autorità. Necessita di un ambiente predisposto ad accogliere tutte le possibili misure di controllo, militari nelle città compresi, quindi la propaganda razzista sostenuta dall’ossessione securitaria entra in campo per alimentare le paure eliminando il rischio che qualcuno solidarizzi o manifesti repulsione per metodi così spietati e disumani. È così che si forma un esercito di schiavi circondati da una massa grigia di esseri collusi, insensibili e meschini.
Il secondo termine, espulsione, richiede a sua volta che venga predisposto un meccanismo di attuazione. Centri di detenzione per immigrati sono presenti in tutta Europa e nel 2004 è stata istituita Frontex [Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne] che, tra le altre, ha la funzione di «fornire agli stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte». Non è facile nemmeno per gli stati deportare, ci vogliono accordi con i paesi terzi, tanto che spesso vediamo presidente del consiglio e ministri italiani correre smaniosi in giro per il mondo alla ricerca di accordi con Libia, Ghana ecc. Ma ora Frontex è pronta per il suo compito, ha a disposizione aerei charter noleggiati con pilota compreso per le deportazioni che rastrellano gente dai vari centri di detenzione facendo scali in diverse città europee. E si tratta di un intervento prezioso per il sistema rimpatri anche perché sugli aerei di linea troppo spesso i comandanti hanno dovuto far scendere i deportati, e la loro scorta, a causa delle proteste loro o di altri passeggeri, scioccati nel vedere gente in manette e maltrattata.

Le condizioni nei Cie e le lotte recenti
Chiunque segua le lotte contro i Cie sa che non passa giorno senza che arrivino notizie di soprusi e maltrattamenti, che i reclusi lamentano un disinteresse totale rispetto a qualunque genere di necessità, perfino di cure mediche anche in presenza di malattie o ferite gravi. Si sa che il cibo è pessimo, scarso, condito con psicofarmaci e a volte pure pieno di vermi o scarafaggi. Che gli internati non hanno alcun diritto e che per loro è praticamente impossibile uscire anche se hanno casa, lavoro, coniuge italiano e figli. Che le forme di protesta vengono spesso schiacciate dalla repressione e dai manganelli e che le pene per chi reagisce sono sempre alte. A volte arrivando persino alla morte, come nel caso di uno dei rivoltosi del Cie di Milano. Che gli operatori dei Cie e le guardie si rivolgono agli immigrati con violenza e disprezzo. Che i ricatti sessuali contro donne e trans sono quotidiani. Che gli stupri da parte delle guardie, e di chissà chi altro, sono un rischio costante e troppe volte una realtà. Che quando le violenze vengono denunciate, come nel caso di Joy e di Preziosa, le ritorsioni sono terribili e interminabili. Che i reclusi vengono spesso rispediti in paesi di cui non sanno più nulla e che in certi casi non sono neppure quelli di provenienza. Si potrebbe continuare all’infinito con esempi di soprusi e palesi ingiustizie, di esasperazioni che portano a pesantissime forme di autolesionismo fino ad arrivare in alcuni casi al suicidio.
Ma è anche vero che le tensioni e le ribellioni dentro tutti i centri di detenzione in Italia e in Europa intera non si placano. La gioia per le fiamme di Vincennes o di Lampedusa non si spegne e l’esempio recente di 84 donne in sciopero della fame a Yarl’s Wood in Inghilterra dà forza e speranza. Senza dimenticare l’indomabile sciopero della fame che ormai da marzo prosegue a staffetta, con il forte sostegno dei compagni fuori, al Cie di Milano.
In Italia, dall’approvazione del nuovo Pacchetto Sicurezza nel luglio 2009 con il quale è stato introdotto il reato di clandestinità e il prolungamento fino a sei mesi del periodo di detenzione nei Cie, le ondate di protesta, le lotte all’interno dei lager della democrazia e fuori non si sono mai fermate. In alcune occasioni la determinazione e la rabbia dei reclusi hanno portato a coraggiose rivolte e fughe, pensiamo alle rivolte dell’estate scorsa al Cie di via Corelli a Milano, a quella di Modena dove i reclusi hanno reso inagibili diversi padiglioni, alle continue fughe dal Cie di Torino, alla rivolta e al fuoco di Ponte Galeria a Roma, a Gradisca, ai tentativi di ribellione di Bari, all’incendio recente al Cie di Bologna.
All’esterno la lotta di tanti si è espressa e continua a esprimersi in Italia, a Parigi, in Belgio, ovunque e in molteplici forme, dai presidi, al sostegno agli scioperi della fame, alle iniziative in città per portare fuori la voce dei reclusi, a tante e ripetute azioni solidali contro i responsabili e gli speculatori che si ingrassano con l’affare Cie.
I Cie esistono ancora, certamente la lotta non ha ancora raggiunto un sufficiente livello di efficacia ma c’è, dentro e fuori.

I Cie di Modena e Bologna
I Cie di Modena e Bologna sono strutture dalle quali, come ci hanno fatto sapere i reclusi, «tutti sanno che non si esce»; sono carceri speciali per immigrati le cui condizioni interne sono particolarmente dure e disumanizzanti, i regolamenti applicati totalmente arbitrari e funzionali alla castrazione di ogni forma di protesta, di rivendicazione di libertà e di comunicazione con l’esterno fin dal principio. Non si possono tenere i cellulari che vengono sequestrati all’entrata, tranquillanti vengono somministrati nel cibo a colazione, pranzo e cena, e abusi e violenze da parte di ispettori di polizia, ricatti e insulti sono all’ordine del giorno. Come se non bastasse in questi centri una buona percentuale di detenuti è persino in possesso del permesso di soggiorno. Chi viene internato nonostante sia “regolare” non è un malcapitato a caso e raro, bensì chiunque abbia avuto un decreto di espulsione anche se riferito a un periodo per il quale il reato è già stato indultato. Ma non importa, «loro cliccano sui computer e se risulta qualcosa che non torna ti portano dentro anche se hai un lavoro o se pensavi di dover solo completare delle pratiche di regolarizzazione». Dai Cie di Modena e di Bologna non si esce, non solo per militari, sbarre e filo spinato, ma anche perché l’ampliamento del raggio di persone internabili e il prolungamento dei tempi di detenzione fruttano moltissimi soldi ai gestori di queste strutture, ovvero alla Confraternita delle Misericordie presieduta da Daniele Giovanardi. Questa associazione cattolica guadagna 75 euro al giorno per ogni recluso del Cie di Modena e 72 per quello di Bologna. Sarà per questo che alcuni reclusi ci dicono che non vengono nemmeno rimpatriati, anche quando lo vorrebbero?
Il 17 aprile, dopo mesi di silenzio imposto e di ribellioni stroncate, 50 reclusi tra uomini e donne del Cie di Bologna sono entrati in sciopero della fame e, successivamente, si sono rivoltati dando fuoco a parte della struttura, causando 50.000 euro di danni. Un bel regalo per chi ha scelto di fare dell’internamento degli immigrati un lucroso business!
Nei giorni successivi, i giornali locali interessati solo quando la notizia è eclatante e fa vendere ma mai nella quotidianità delle sopraffazioni patite da chi sta dentro questi infami luoghi, hanno diffuso la notizia di diversi episodi avvenuti tra Bologna e Modena in relazione a quello che definivano «il presunto sciopero della fame»: una quindicina di solidali sono entrati con volantini e megafono nel tribunale del giudice di pace a Bologna, il giorno dopo un gruppo di persone avrebbe spaccato i vetri della mensa universitaria di Bologna rifornita dalla Concerta Spa che porta i pasti anche al Cie e che circa un mese prima avrebbe subito danni a furgoni parcheggiati in una sua sede ritrovati con le gomme tagliate, infine il 2 maggio un gruppo di solidali ha scelto di interrompere la messa della domenica nel duomo di Modena per smascherare, con volantini e megafono, le responsabilità dei gestori del Cie della città e per rompere il silenzio. Un silenzio che per quanto riguarda il Cie modello di Modena, che per le peculiarità indicate sopra presumiamo sperimentale, è sempre stato totale. Giovanardi ha poi dato dei farneticanti a chi porta in diverse forme la solidarietà agli immigrati reclusi nel suo Cie, dove secondo lui sono trattati con tutti i riguardi e le misericordiose cure necessarie.

Per continuare opportunamente a farneticare indiciamo un corteo contro i Cie e contro la Misericordia che gestisce quelli di Modena e Bologna. Un corteo che miri a far conoscere alla città le nefandezze che quotidianamente avvengono dentro questi lager. Un corteo contro la vergogna delle deportazioni. Un corteo comunicativo che punti il dito contro i responsabili di queste strutture. Un corteo che non deleghi la propria difesa.
Un corteo contro i Cie per noi è un corteo contro l’organizzazione sociale che li ha concepiti e realizzati, non vogliamo bandiere di partiti o di sindacati.
Consapevoli che l’opposizione ai Cie non si esaurisce in scadenze e appuntamenti ma si alimenta giorno per giorno delle proteste e delle rivolte interne e dei contributi solidali di chi lotta al loro esterno, crediamo importante in questo momento lanciare un’iniziativa partecipata per ribadire la natura di questi centri e che i responsabili non sono entità astratte ma collaboratori e approfittatori concretamente esistenti e contro i quali è possibile indirizzare le nostre lotte.

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