venerdì 28 maggio 2010

CASSA INTEGRAZIONE, TAGLI E CHIUSURE: ANCORA CRISI NERA PER I LAVORATORI DI PAVIA E PROVINCIA (n°4 - giugno 2010)


La disoccupazione in Italia sta arrivando al 9%. Provano a dire che siamo messi bene, o almeno meglio di Grecia, Spagna, Portogallo, del resto il tasso di disoccupazione medio in Europa è del 10%. Ma la differenza (minima) si spiega facilmente con i dati della cassa integrazione, mezzo usatissimo in Italia e molto poco nel resto d’Europa. I cassintegrati non restano cassintegrati in eterno e spesso la cassa integrazione è utilizzata per garantire un reddito minimo di sopravvivenza anche a lavoratori di aziende che stanno per chiudere se non già chiuse e rase al suolo. Restringendo lo sguardo alla Lombardia, tra i primi 4 mesi del 2009, quando non si parlava d’altro che di crisi, e lo stesso periodo di quest’anno, le ore di cassa integrazione sono aumentate del 142% (e quelle di cassa straordinaria del 345%) e i licenziamenti sono stati il 16% in più. Anche se si parla di “ripresina” per ordinativi e produzione, i lavoratori continuano a pagare la crisi fino all’ultimo centesimo.
La provincia di Pavia ha visto nell’ultimo anno un leggero calo della cassa ordinaria, ma solo perché in molti casi quella a disposizione è terminata, come risulta chiaro se si guarda all’aumento di quella straordinaria: dalle 58mila ore dei primi 4 mesi dell’anno scorso a 1milione e 236mila ore nei primi 4 mesi di quest’anno: +2000%. E un +500% per quanto riguarda la cassa in deroga, che interessa soprattutto i lavoratori di imprese artigiane. Il numero dei licenziamenti non sta scendendo e attualmente sono circa 14mila i disoccupati in provincia, su meno di 500mila abitanti, mentre si calcola che la cassa integrazione riguardi in questo momento quasi il 5% dei lavoratori dipendenti privati. Sappiamo che il livello più alto nella disoccupazione deve ancora essere toccato e molti dei lavoratori che attualmente hanno la cassa integrazione agli sgoccioli rischiano il posto: le imprese, esauriti gli ammortizzatori sociali, se continuano la produzione, quasi sempre tagliano gli organici.
Qua sotto segnaliamo le situazioni che stanno affrontando gli operai di alcune imprese della provincia di Pavia: si tratta solo di pochi casi, a volte quelli che per il numero di lavoratori coinvolti e per l’evolversi delle vertenze hanno “fatto notizia” almeno sulla stampa locale nelle ultime settimane. Ma situazioni di questo genere sono all’ordine del giorno in tutta la provincia.
La Strides Italia di Corana (ex Diaspa, 40 anni di attività nel settore chimico-farmaceutico) è stata messa in liquidazione e i 90 dipendenti sono in cassa straordinaria da marzo. Da quando lo stabilimento è stato acquisito dall’indiana Strides Arcolab, gli investimenti sono continuamente scesi fino alla decisione della multinazionale di non produrre più a Corana. Il liquidatore avrebbe ricevuto alcuni possibili interessamenti di altre società, ma fino ad ora sono solo voci.
Anche la Friggi di Motta Visconti è stata messa in liquidazione dalla proprietà. Da aprile, i 56 dipendenti si trovano con davanti un anno di cassa integrazione straordinaria e gli stipendi del 2010 ancora da ricevere.
È stata decisa ormai da un anno la liquidazione dall’assemblea dei soci della Pan-pla di Gambolò: anche in questo caso una lunga storia di produzione alle spalle e ancora un anno di cassa integrazione a 770 euro mensili per gli 81 lavoratori. Da due anni la cooperativa era tornata autonoma e si era trovata senza un capitale dopo la decisione del gruppo Frati di Mantova di non produrre più a Gambolò e dopo che era naufragato un possibile accordo con la multinazionale portoghese Sonae.
Situazioni diverse ma lo stesso rischio di perdere il posto di lavoro interessano alcune altre importanti imprese lomelline: la Cablelettra (da un anno in amministrazione controllata, 200 lavoratori in cassa straordinaria con la speranza che si faccia avanti un grande gruppo dell’auto ad investire nella loro fabbrica), la Sigma (in 93 in cassa straordinaria), la Atom e la Fiscagomma di Vigevano, con 83 esuberi già annunciati nella prima e 46 nella seconda.
Il primo giugno sarà formalmente soppresso l’arsenale di via Riviera a Pavia: l’ennesima chiusura in città e 220 posti di lavoro in fumo. Non è proprio una novità, la vicenda andava avanti da anni tra promesse dai ministeri e progetti di riconversione, che non hanno portato a nulla. Molti degli operai e impiegati sono già stati in parte trasferiti e sparpagliati in altri enti, sia del genio militare sia civile, tra il milanese e il piacentino. Sui 90 rimasti, 35 resteranno temporaneamente a gestire l’ufficio “stralcio”, mentre gli altri sperano si concretizzino le promesse di essere ricollocati tra vari uffici e amministrazioni.
Avrebbe dovuto riaprire a maggio l’ex Casamercato di Cava Manara, ma i lavori di manutenzione non sono ancora finiti e a giugno finirà invece la cassa straordinaria per i 75 dipendenti (che aspettano ancora i soldi da dicembre in poi) mentre Grancasa non ha ancora iniziato le assunzioni previste dagli accordi.
Tra le tante, segnaliamo anche due importanti questioni aperte in Oltrepò: si tratta dell’ex Finbieticola di Casei Gerola e della Tanino Crisci di Casteggio.
Il primo caso va avanti ormai da anni: dopo la chiusura avvenuta nel 2006 dello zuccherificio e dopo tutte le promesse istituzionali di una possibile riconversione dell’area, a inizio maggio arriva la notizia dello slittamento anche del progetto di una centrale elettrica alimentata a fibra di sorgo, che potrebbe dare un lavoro almeno a parte dei 40 ex dipendenti. Per loro i tempi sono fondamentali perché a fine anno, alla fine della cassa integrazione, già rinnovata, si troveranno senza un reddito. Nell’assemblea tenuta il 12 maggio si è parlato di iniziare uno sciopero della fame per fare pressione sulla Provincia e le altre istituzioni che fino ad ora hanno solo saputo promettere. Vogliono risposte concrete anche i 39 dipendenti del calzaturificio Tanino Crisci, che producono le scarpe di lusso esposte nelle vetrine di via Montenapoleone a Milano come a Parigi o New York. A marzo era stata annunciata la mobilità per tutti da fine maggio, tranne per 6 degli impiegati, al termine della cassa integrazione, mentre alcuni operai erano ancora al lavoro per esaurire degli ordini. Lo stabilimento è ora del tutto fermo dal 19 maggio, ma per volontà dei lavoratori: aspettano il pagamento degli ultimi stipendi e un incontro, saltato più volte, tra Majorana, manager della Gulf Finance & Investment, società che gestisce il marchio, e Alfonso Crisci, ancora proprietario della struttura. L’incontro potrebbe portare a un accordo su un costo minore per l’utilizzo dello stabilimento e quindi favorire la ripresa della produzione a Casteggio. Di fronte allo sciopero e alle voci di una possibile delocalizzazione in Cina, Majorana ha dichiarato che si è in una fase di “riorganizzazione” (termine che spesso è sinonimo di tagli al personale…) ma che la produzione non si sposterà. Lo sciopero al momento continua, in attesa degli stipendi arretrati e di risposte ufficiali sulle questioni aperte.

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