mercoledì 12 ottobre 2011

20 anni di lotte No Tav - dal nuovo numero di "Echi dall'ateneo"

 
E' uscito in questi giorni il nuovo "Echi dall'ateneo", l'aperiodico di informazione e analisi (su università e dintorni) curato da Student*incrisi e distribuito gratuitamente all'interno dell'università.
Tra i vari articoli di "Echi", pubblichiamo un approfondimento su "20 anni di lotte No Tav" che, partendo dal 1991, ripercorre i due decenni di vita del progetto ma anche del movimento cresciuto sempre più in Val di Susa.
Segnaliamo che l'intero numero della rivista si può scaricare dal blog dell'assemblea Student*incrisi.

  
20 ANNI DI LOTTE NO TAV.

“All’epoca si parlava di Alta Velocità, trasformata successivamente per questa tratta in Alta Capacità, e concetti come progresso e sviluppo trovavano, nell’immaginario collettivo, ancora qualche credito, l’euro doveva ancora essere coniato, il petrolio costava poco, gli aerei low cost non esistevano ancora.” (tratto da “Treni ad Alta Nocività”, Nautilus 2006)

Il progetto parte in Italia nel 1991, con la costituzione della società TAV S.p.A. per la costruzione del nuovo sistema di trasporto su rotaia ad Alta Velocità. Doveva essere il primo esempio di applicazione di project financing per la realizzazione di un’opera pubblica con la partecipazione di capitali privati. Negli anni a seguire questo progetto ha conosciuto diversi cambiamenti, giungendo ad includere l’Alta Capacità (che permette una maggiore frequenza di passaggi di convogli con velocità differenti, consentendo quindi anche il transito di treni merci). I 15 miliardi preventivati sono diventati 32[1], tutti a carico dello Stato e senza alcuna partecipazione dei privati, con costi per chilometro nettamente superiori alla media europea.

Movimenti di contestazione si sono formati in tutta Italia contro la realizzazione delle varie tratte AV/AC, portate avanti dai vari governi (indipendentemente dallo schieramento politico) in un sistema perverso di lottizzazione partitica degli appalti (affidati con trattativa privata ai general contractors, consorzi di imprese a cui compete la progettazione esecutiva e costruzione delle linee ferroviarie), infiltrazione mafiosa nella catena dei subappalti[2] e devastazione ambientale[3].[4]

Il caso della Val Susa è diventato emblema della protesta contro il progetto Alta Velocità.

All’approvazione del progetto Torino-Lione sono subito seguite mobilitazioni da parte degli abitanti della valle, già segnata in quegli anni dalla costruzione dell’autostrada Torino-Bardonecchia.
Simultaneamente alla presa di posizione da parte delle autorità istituzionali inizia a svilupparsi un movimento popolare contrario all’opera che andrà radicandosi profondamente nel territorio.[5]

Le dimostrazioni di contrarietà al progetto (che passerà dall’Altà Velocità all’Alta Capacità, ovvero per il trasporto di merci), nel silenzio assordante dei media e della politica, contano 20, 30 e poi 50 mila persone. Mentre crescono i presìdi (luoghi d’incontro, di condivisione, dove vigilare, giorno e notte contro l’esecuzione dell’opera) arriva anche la militarizzazione del territorio.

E’ un movimento eterogeneo, che ha però saputo trovare una direzione comune contro il progetto Torino-Lione, raggiungendo i propri obiettivi, con forme di protesta anche radicali.

Nella notte del 6 dicembre 2005 le forze dell’ordine irrompono nel presidio No TAV di Venaus per porre fine all’occupazione dei terreni su cui dovranno essere allestiti i cantieri per la linea ferroviaria, due giorni dopo 70 mila persone si mettono in marcia e rioccupano il presidio. A seguito degli scontri verrà istituito l’Osservatorio tecnico per l’asse ferroviario Torino-Lione, l’avvio dei lavori viene rinviato al 2010.

Nel gennaio 2010 L’Osservatorio tecnico approva infatti il nuovo tracciato: il tunnel di base che collegherà Italia e Francia passando sotto il Gran d’Ambin sarà lungo 57 km e non sbucherà a Venaus ma a Susa[6]. Le scadenze imposte dall’Unione Europea per l’inizio del cantiere slittano fino al 30 giugno 2011, il movimento No TAV decide quindi di iniziare a presidiare la zona dove dovrebbero iniziare i lavori di scavo della galleria, il 24 maggio nasce la “Libera Repubblica della Maddalena”, presidio che verrà sgomberato il 27 giugno da un ingente schieramento di forze dell’ordine.

Dopo la giornata di assedio di domenica 3 luglio, il problema della TAV in Val Susa torna all’attenzione dei maggiori media nazionali che si limitano in buona parte a criminalizzare la protesta descrivendone soltanto, ed in modo falsato, i momenti di scontro tra polizia e manifestanti (isolare il movimento screditandone i partecipanti è infatti da sempre la strategia portata avanti dai grandi gruppi televisivi ed editoriali, come Repubblica, subordinati all’interesse del potere politico ed economico favorevole all’opera). Fortunatamente il web ha permesso una più realistica testimonianza della giornata, ridicolizzando la parzialità dei mezzi di comunicazione tradizionali.[7]

Non lascia dunque perplessi il fatto che il dibattito sui media nazionali abbia raramente approfondito pro e contro dell’opera, soffermandosi invece su generiche e superficiali affermazioni: “la TAV è un’ opera essenziale per rendere il sistema dei trasporti più efficiente e il territorio più competitivo”, “non si può più perdere tempo altrimenti rischiamo di restare fuori dall’Europa e questo sarebbe inaccettabile”, “Non si può arrestare un’opera fondamentale per il territorio e per l’Italia”. Queste affermazioni mettono in triste evidenza la distanza incolmabile fra la classe politica e i bisogni della popolazione (o almeno di quella buona parte di popolazione interessata al proprio territorio).
Il movimento no TAV, spesso tacciato come una “minoranza esagitata” di “montanari intestarditi”, ha invece prodotto negli anni una vasta documentazione per spiegare la propria opposizione nei confronti del progetto Torino-Lione. [8] Dei dati e ricerche che dimostrano l’inutilità dell’opera, o perlomeno ne mettono in dubbio l’utilità, citiamo qui solo le seguenti:

- Il traffico di merci e persone sulla tratta contestata è in considerevole calo[9], il che smentisce le ottimistiche previsioni di crescita fatte all’epoca della programmazione dell’opera, inoltre la linea ferroviaria storica risulta sottoutilizzata e difficilmente raggiungerà il livello di saturazione previsto per il 2020.

- E’ previsto un raddoppio del costo dell’opera che porterebbe ad un onere per l’Italia di 35 miliardi di euro[10], il tunnel di base avrà costi per la manutenzione ordinaria pari a 65 milioni di euro all’anno

-il trasporto ferroviario ad Alta Velocità/Capacità risulta, relativamente alle emissioni di CO2, particolato ed SOx, più impattante rispetto al trasporto stradale a causa “dell’eccessiva infrastrutturazione e dell’eccessiva potenza dei treni”.[11]

Forse hanno ragione i 150 docenti e ricercatori italiani firmatari “dell’Appello per la trasparenza tecnico-scientifica del progetto TAV in Val Susa” quando affermano che “è ormai nota una consistente e variegata documentazione scientifica che contraddice alcuni assunti fondamentali a supporto dell’opera e ne sconsiglia nettamente la costruzione, anche alla luce di scenari economici e ambientali futuri del tutto differenti da quelli sui quali, vent’anni fa, si è basato il progetto”.

Le criticità nell’attuazione dell’Alta Velocità non si limitano però soltanto alla non economicità basata sull’analisi costi-benefici dell’opera, ma riguardano soprattutto le conseguenze devastanti che tale progetto avrebbe sul tessuto sociale della valle e sul già precario rapporto tra gli abitanti della stessa e l’ambiente circostante.
I No TAV lottano contro un futuro fatto di falde deviate o prosciugate, acque inquinate, con il perenne incubo dell’estrazione di materiale pericoloso quale amianto e mineralizzazioni di uranio presenti nell’area del tracciato del tunnel di base.
Al di là delle ragioni legate alla difesa del territorio specifico della Val Susa, fondamentali sono anche gli approcci legati ad una visione più ampia del problema che la TAV-TAC rappresenta. L’Alta Velocità è, infatti, uno dei tasselli fondamentali di quei modelli di crescita basati su grandi opere imposte dall’alto ove gli interessi propagandati e quelli effettivi sono ampiamente diversi. Al posto di migliorare il trasporto pubblico su quelle direttrici più utili, cioè le tratte locali destinate a pendolari, la politica preferisce andare incontro agli interessi dei costruttori e della grande industria che per essere competitiva sui mercati internazionali necessita di risparmiare pochi minuti in una produzione delocalizzata a livello mondiale. Il profitto che scaturisce da tali imprese è privato, mentre i costi necessari alla realizzazione dell’opera sono scaricati sull’intera società, nonostante la crisi economica e i tagli alla spesa pubblica.
Ecco perché la lotta NO TAV è stata sentita come importante ben oltre i confini della Val Susa, in quanto battaglia contro un sistema economico e politico che non ha futuro.

Forse la crisi economica metterà in discussione la realizzazione dell’opera, oltrepassando gli interessi speculativi dei suoi promotori.
Forse la crisi sarà il pretesto con cui l’apparato politico cederà alla popolazione che con determinazione e in maniera conflittuale è riuscita a riaffermare la sovranità sul territorio in cui vive. Intanto il non-cantiere, una recinzione di filo spinato che funge da fortino per la polizia, costa 90mila euro al giorno[12], mentre i lavori del tunnel non sono mai iniziati.

A sarà dura!


NOTE
[1] dato del vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti Roberto Castelli; secondo stime più attendibili costerà 96,8 miliardi di euro (“Il libro nero dell’alta velocità” di Ivan Cicconi, 2011)
[2] oltre agli scritti di Ivan Cicconi consultare anche “Corruzione ad Altà Velocità” di Ferdinando Imposimato, 1999
[3] esemplare è il caso del Mugello, interessato dalla costruzione della linea ferroviaria Bologna-Firenze (sistema idrico compromesso e danni ambientali provocati dalle discariche di smarino e fanghi contaminati)
[4] si propone la visione di “Fratelli di TAV”, video-inchiesta sull’impatto della TAV lungo la penisola italiana
[5] si segnalano anche azioni di sabotaggio che segneranno la valle nel biennio ’96-’97 portando all’arresto per associazione sovversiva ed alla gogna mediatica di tre anarchici nel marzo ‘98, dopo il sospetto incendio del Municipio di Caprie. Maria Soledad Rosas e Edoardo Massari moriranno a pochi mesi dal loro arresto. Per approfondire la controversa vicenda: “Le scarpe dei suicidi” di Tobia Imperato 2003
[6] per informazioni più dettagliate dei progetti si può consultare il sito del Comitato No TAV – Torino sotto la voce “i progetti attuali”: http://www.notavtorino.org/
[7] numerose le testimonianze e la produzione di materiale audio-visivo durante la giornata, un breve documentario riassuntivo consigliato è “I peccati della Maddalena”
[8] rimandiamo alla lettura del documento “150 nuove ragioni contro la Torino-Lione” liberamente fruibile su internet
[9] studio di Andrea Debernardi pubblicato dall’Università Bicocca di Milano
[10] i 671 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea a confronto del costo totale dell’opera, a carico dello stato,
[11] questo risultato è ottenuto internalizzando (nel calcolo del consumo energetico e della produzione di emissioni associate al “passeggero o merce trasportata per chilometro percorso”) tutti i costi ambientali, direttamente o indirettamente, sostenuti per l’ottenimento del servizio, compresi quindi anche quelli delle infrastrutture (studio di Mirco Federici, Università degli studi di Siena)
[12] dati ufficiali del sindacato autonomo di polizia, a settembre erano presenti in valle 600 poliziotti ogni giorno, intanto Stefano Esposito, deputato in quota PD, reclama un’ulteriore militarizzazione della Valle di Susa, chiedendo che la Maddalena diventi sito di interesse strategico nazionale

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