lunedì 21 febbraio 2011

Egitto. La prima rivoluzione del millennio (n°6, febbraio 2011)


Il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar El Sadat cade vittima di un attentato a Il Cairo. Quel giorno si festeggiava l'Operazione Badr del 1973, in forza della quale l'Egitto, durante la guerra del Kippur, spinse verso oriente i confini israeliani e si riappropriò dell'altra sponda di Suez e del Sinai. L'occasione per l'attentato non fu scelta a caso: il malcontento verso il presidente Sadat era cresciuto soprattutto nelle fila dell'islamismo più radicale, che accusava il presidente di essersi avvicinato ad Israele, diventando il 19 novembre 1977 il primo leader arabo a visitare ufficialmente lo stato ebraico. Il 26 marzo 1979 Sadat ed il primo ministro israeliano Menachem Begin si stringono la mano sotto lo sguardo compiaciuto degli Stati Uniti, precisamente, dell'amministrazione Carter, ai margini degli accordi di Camp David. Gli accordi di pace valsero ad entrambi i leader (non a Carter) il Nobel per la pace, e all'Egitto la proprietà di tutto il Sinai che vuol dire l'esclusiva sul Canale di Suez (al 2009 il 3,7% del PIL) e sulle principali riserve di idrocarburi del paese. Ironia della storia, proprio Sadat fu promotore della guerra del Kippur assieme al premier siriano Hafez al-Assad, conflitto che gli valse gloria per diversi anni agli occhi del mondo arabo.
L'assassino fu individuato in Khalid Islambouli, di li a qualche anno condannato a morte. Mandanti presunti, la Fratellanza Musulmana, che non sopportava un premier che stringeva la mano ad Israele, promuoveva una politica filo-occidentale e metteva la bando la scena religiosa dalla vita politica. Non era un costrutto mentale esclusivo dell'ala islamica più radicale: per gli accordi con Israele l'Egitto fu escluso nel 1979 dalla Lega Araba, che spostò il suo quartier generale da Il Cairo a Tunisi, fino alla riammissione dell'Egitto nel 1989. Negli ultimi anni di governo, Sadat represse le forme di dissenso (ricordiamo a titolo esemplificativo i Riot del Pane del gennaio 1977) e colpì duramente i diritti umani, civili e politici, tutto in nome di una democratizzazione del paese da ricercare attraverso il multipartitismo. In quest'ottica, il 9 luglio 1978 Sadat fondò il suo schieramento politico, il Partito Nazionale Democratico (Ndp).
Dopo la morte di Sadat prese il potere il suo vice, Hosni Mubarak, leader del Ndp. La legge marziale in vigore dal 1967 venne mantenuta, ma a dispetto della repressione nelle tornate elettorali del 1984 e del 1987 (entrambe con un'affluenza sotto il 50%) l'opposizione raccolse più del 25% dei consensi. E' proprio Mubarack a riammettere la Fratellanza Musulmana alla scena politica, senza però scordarsi di incarcerare il Terzo Leader del movimento, Umar al-Tilmisani, proprio nel 1984. Assieme al Partito Socialista dei Lavoratori ed al Partito Liberale Socialista, la Fratellanza Musulmana crea nel 1987 la Coalizione dell'Alleanza, maggior partito d'opposizione con il 17,5% dei voti e 60 seggi parlamentari. Il sistema elettorale introdotto da Mubarack presentava evidenti tratti monocratici, tanto da spingere le opposizioni a promuovere la dissoluzione del parlamento ed un referendum per ufficializzare l'incostituzionalità dello stesso. Sancita l'illegittimità per via referendaria (58% di affluenza e 94% di voti favorevoli), vengono indette nuove elezioni per l'inverno 1990 (affluenza stimata tra il 20 ed il 30%) comunque boicottate dai partiti d'opposizione. I Fratelli Musulmani restano per tutti gli anni Novanta il maggior gruppo di pressione del paese (non partito politico perché interdetti dalla scena politica ed obbligati a presentarsi come 'indipendenti'). Le libertà politiche e civili vengono ridimensionate dal governo a seguito della crescita dell'opposizione islamica e degli attentati: nel 1993 viene emanata la Legge sui Sindacati, nel 1995 la Legge sulla Stampa e nel 1999 la legge sulle Ong. Nelle elezioni del 2000 l'Ndp si aggiudica 353 seggi (su 454) e gli indipendenti 72 (di questi, 35 affiliati all'Ndp e 17 alla Fratellanza Musulmana). Nel 2005 la posizione dei Fratelli Musulmani si rafforza, conquistando (sempre come indipendenti) 88 seggi pari a circa il 20%: l'Ndp raggiunge a mala pena i due terzi del parlamento (necessari per emendare la Costituzione) solo con l'appoggio degli indipendenti ad esso affiliati. Il successo elettorale della Fratellanza Islamica fu notevole quanto inaspettato, probabilmente fondato non tanto sul programma politico (di dubbia consistenza e riassumibile nel motto “al-Islam al-Hal”, l'Islam è la soluzione), quanto su di un ridimensionamento delle posizioni in materia religiosa e di un più sferzato attacco alle repressioni del regime, condiviso dalla società civile. Le recenti elezioni parlamentari del 2010 sono state caratterizzate da brogli ancor più evidenti: il maggior candidato d'opposizione, Mohamed El-Baradei, propone di boicottare le elezioni, richiamo non raccolto dal New Wafd Party (Nwp) e dalla Fratellanza Islamica. La prima tornata elettorale evidenzia la gravità della situazione, con impossibilità di monitorare le urne, centinaia di arresti preventivi, voti venduti ed il maggior polo d'opposizione con un solo seggio: la Fratellanza Islamica decide di non presentarsi al secondo turno. L'opposizione raccoglie nel complesso meno del 5% dei seggi: Mubarack aveva da poco modificato l'articolo 76 della Costituzione aprendo la corsa alle elezioni presidenziali del 2011 ai candidati di altri partiti, ma imponendo uno sbarramento del 5%.

La rivoluzione del gennaio e febbraio 2011 riapre i giochi di potere in uno stato importante tanto per l'Africa quanto per l'area mediorientale, nonché per il mondo islamico. Mubarack aveva improntato il paese in una direzione filo-statunitense, solidale con Israele e avversa all'ala islamica radicale, sia essa Hamas o Hezbollah. Per gli equilibri geopolitici della regione i cambiamenti potrebbero rivelarsi importanti quando non epocali, ma prima di tutto serve riformare il paese all'interno. La vivacità politica egiziana è stata per decenni duramente repressa, e bisognerà considerare come si organizzerà per promuovere un periodo di transizione senza soccombere all'entourage di un regime (circa 3 milioni di persone) in vita da decenni. Un ruolo di rilievo verrà coperto dall'islam politico, fino ad oggi escluso dalla scena politica, contrapposto (ma non antitetico) all'islam ortodosso: in questo delicato equilibrio la Fratellanza Musulmana sarà chiamata in causa e dovrà giostrarsi con abilità per evitare derive fondamentaliste e solidarizzare in materia di diritti con i brandelli di società civile ancora in vita.

Riportiamo alcune testimonianze di persone presenti in Egitto nei giorni più caldi della rivoluzione, a cui abbiamo rivolto delle domande. Iniziamo da un'italiana che vive a Il Cairo, intervistata nel pieno della rivolta.
Come hai trascorso i giorni 'caldi' della rivoluzione?
Dopo essere stata più o meno presente agli eventi di inizio rivolta, per quattro giorni sono rimasta barricata in casa. Purtroppo gli ultimi sviluppi della rivoluzione hanno costretto me e tanti altri stranieri a proteggerci dagli attacchi ciechi e sconsiderati dei cosiddetti promubarakkiani, vale a dire mercenari venduti al regime per un piccolo tornaconto economico, e da quelli invece un po' più mirati di altri individui non ben identificati, probabilmente appartenenti ai servizi segreti e altri soggetti fedeli al regime membri della polizia (in borghese). Ho saputo anche di persone a cui sono entrati in casa armati, a volte solo per controlli e perquisizioni, altre volte per prelevare e portare alle stazioni di polizia; in altri casi per arresti (ma questo ha riguardato principalmente attivisti politici e giornalisti egiziani). Inoltre ci sono stati episodi di grande violenza soprattutto verso giornalisti internazionali, che sono stati presi di mira: in alcuni hotel li hanno addirittura pregati di allontanarsi per paura che venissero a cercarli, come del resto è stato; in altri casi li hanno percossi per strada, e nel caso del povero giornalista greco è andata peggio, nel senso che è stato ucciso. Si parlava anche di cecchini appostati nei palazzi che danno sulla piazza e nelle vie adiacenti, ma non si sa con certezza, dato che le informazioni sono tante e a volte senza filtri adeguati si fanno girare voci non proprio veritiere o comunque non provenienti da fonti certe e accreditate.
Cosa pensi di fare nei prossimi giorni?
In buona sostanza non abbiamo ancora ben capito che fare, sembra che siamo rimasti in pochi italiani qui ormai, e in generale pochi stranieri… noi non abbiamo intenzione di muoverci per il momento, anche se questa clausura forzata comincia a snervare tutti. La fuga di massa di 'visi pallidi' dalla terra dei faraoni ha portato anche qualche beneficio per quelli che rimangono: affitti più bassi, posti di lavoro… diciamo che a parte lo sciacallaggio di cui sopra c’è comunque anche l’occasione di contribuire alla ricostruzione di un paese post-rivoluzione, quindi grande crescita personale e tutto il resto appresso.
Cos'è cambiato con l'uscita di scena di Mubarack?
La vita riprende pian piano il suo corso, nel senso che il coprifuoco scatta un paio d’ore più tardi rispetto agli ultimi due giorni, e ancora di più rispetto a prima; alcuni quartieri che erano sotto assedio cominciano a rianimarsi, alcuni negozi hanno già riaperto e le banche dovrebbero riaprire domani. Il pane e le verdure sono un po’ aumentate, o, per lo stesso prezzo, la razione è diminuita (il che in un paese in cui una grande fetta della popolazione vive di sussidi e provvigioni statali, è un problema!); sigarette scarseggiano e la speculazione sul prezzo è in alcuni casi veramente eccessiva; le ricariche del telefono si trovano a tratti e non di tutte le compagnie; e via discorrendo…

Riportiamo adesso una chiacchierata con un amico egiziano, presente durante gli eventi.
Quali sono state le cause della rivoluzione? E' una conseguenza della rivolta tunisina, o sarebbe scoppiata in qualsiasi caso?
Non possiamo nascondere che un contagio tunisino ci sia stato, ed ha ravvivato gli animi di noi egiziani per tre ragioni: le elezioni broglio del parlamento; la reazione del premier a seguito dell'attentato di fine dicembre alla chiesa copta, tradotto in una punizione al Ministro degli Interni; la diffusione su internet e sulla carta stampata delle rivendicazioni di diritti da arte dei manifestanti.
Mubarack ha parlato alla nazione. Quali reazioni avete raccolto voi egiziani dopo il suo discorso?
Il discorso del presidente ha convinto diversi manifestanti impegnati in prima linea a rinunciare alla lotta. Io sono uno di essi: quest'uomo non ha tradito e noi gli dobbiamo rispetto. Il suo discorso è stato chiaro, non si ripresenterà alle prossime elezioni ed ha accolto la richiesta parlamentari di modifica degli articoli 76 e 77 della Costituzione. Ha scelto due persone di tutto rispetto per condurre la transizione. Mi sembrava che avesse accolto le richieste del popolo: l'Egitto è un paese chiave e le manifestazioni devono cessare perché sono state accolte tutte le nostre richieste, salvo la cacciata fisica di Mubarack.
Non pensi sia un tassello importante?
No: negli ultimi trent'anni ci siamo sentiti protetti e in pace; non è un ladro come altri presidenti che si devono dare alla fuga; un suo esilio lascerebbe spazio a preoccupanti ingerenze esterne.
Dunque hai rinunciato a batterti e sei passato nelle file dei conservatori?
Nel corso dei giorni ho visto l'evoluzione del comportamento dei sostenitori di Mubarack e sono ritornato sui miei passi: quest'uomo non merita di rappresentare il paese, e gli avvenimenti che si sono susseguiti ne hanno condannato l'immagine.
Che fine hanno fatto i sostenitori del regime?
I pro-Mubarack si sono dileguati una volta consapevoli di essere una netta minoranza nelle strade.
Quali figure consideri promettenti per la scena politica del paese?
Penso che il primo ministro Ahmed Shafik sia una persona rispettabile con una buona reputazione. Ha fatto delle promesse al popolo, e prima di giudicarlo aspettiamo di vedere il suo operato.
Pensi che questa rivoluzione porterà cambiamenti concreti?
Credo che dovremo cambiare il paese giorno dopo giorno, ma prima serve mettere definitivamente da parte Mubarack.
Che opinione hai dei Fratelli Musulmani?
La presenza dei Fratelli Musulmani è accettata e rientra nell'ordinarietà, sono parte integrante del paese e a loro spettano diritti civili.
Cosa pensi del vice presidente, Omar Suleiman?
Dopo aver sentito il suo discorso all'ABC News ho inserito quest'uomo nella lista corrotta di Mubarack, in quanto ha affermato che la responsabilità della rivolta è tutta degli islamici.

Concludiamo con il contributo di un'altra amica, al lavoro da un anno ad Alessandria d'Egitto e tornata in Italia nei giorni successivi all'inizio della rivoluzione.
Come hai vissuto in un paese all'alba di una rivoluzione? Percepivi qualcosa di anomalo nell'aria, nelle relazioni sociali, in strada? Vi erano gruppo di pressione, pezzi di società civili, partiti o gruppi religiosi particolarmente attivi?
Segnali di qualcosa di “anomalo” in Egitto hanno iniziato ad apparire subito dopo la fuga di Ben Ali da Tunisi. La risonanza della rivolta tunisina nelle strade del Cairo e di altre città egiziane era visibile ad esempio nel susseguirsi, nella seconda metà di gennaio, di suicidi che richiamavano quello di Mohamed Bouazizi, il ventiseienne tunisino diventato un simbolo dopo essersi dato fuoco per protesta nella cittadina di Sidi Bu Said. In Egitto in quei giorni almeno una decina di persone si sono suicidate allo stesso modo - nelle fabbriche tessili del delta del Nilo, al Cairo di fronte al Parlamento – tanto che l'Università di Al-Azhar ha infine rilasciato una dichiarazione che ribadiva che l'Islam proibisce il suicidio. Di nessuna di queste persone si ricorda adesso il nome, non sono diventati 'martiri' come Mohamed Bouazizi, ma sono stati un segnale, un invito a imitare i fratelli tunisini che ci si chiedeva come sarebbe stato accolto. Fare come in Tunisia è una delle parole hanno iniziato a circolare in rete. Io sono venuta a sapere della manifestazione del 25 gennaio dalla pagina facebook “Siamo tutti Khaled Said”. Khaled è un ragazzo di Alessandria picchiato e ucciso dalla polizia a giugno 2010 dopo essere stato prelevato da un internet-cafè. La versione della polizia
è che il ragazzo sia morto per aver ingoiato una bustina di droga. La vicenda ha avuto molta risonanza in Egitto e all'estero e durante l'estate sono state organizzate ad Alessandria diverse manifestazioni contro gli abusi della polizia. Dalla stessa pagina, che oggi ha circa 850.000 iscritti, sono state lanciate anche le manifestazioni che il 25 gennaio, sostenute e promosse da gruppi di opposizione come il Movimento del 6 Aprile e Kifaya. I Fratelli Musulmani non hanno ufficialmente aderito e hanno adottato una posizione di basso profilo, che hanno mantenuto durante i 18 giorni che hanno portato alla caduta del regime.

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