lunedì 21 febbraio 2011

Donne, sesso e potere! Pensieri vari e sparsi a quattro mani (n°6, febbraio 2011)


Prima riflessione.
Quest’estate ero in un locale a Milano.
Mentre chiedevo da bere al barista un ragazzo gli stava raccontando di come la fidanzata lo avesse scaricato: ha cominciato ad inveire contro questa chiamandola “puttana, zoccola”. Questo avvenimento mi ha fatto riflettere, perché l’uso di questi termini è così inflazionato?
Il maggior gradimento e utilizzo di un concetto è direttamente proporzionale al numero di parole che esistono per esprimerlo, ad esempio in arabo esistono molti modi di dire cammello. Seguendo questo ragionamento, avete notato quanti sinonimi esistono per prostituta? Ma riferiti agli uomini?
Quando si parla di donne molto spesso entra in gioco la sfera sessuale: ma il potere delle donne sta in questo?
Se una donna usa il suo corpo per raggiungere una posizione molto importante è prostituzione o corruzione?
Il berlusconismo è basato sul vecchio sistema di panem et circensem, nel quale culo e televisione sono i nuovi termini del successo. Coloro che partecipano attivamente a questo sistema sono carnefici o vittime? Gli uomini che arrivano alle posizioni di successo sotto l’ala protettiva del regime sono corruttori, approfittatori e infrangono pubblicamente le regole, ma se lo fanno le donne? Sono nuovamente puttane.
Il governo tenta di proporre uno stile di vita più allettante dove sesso e potere è il binomio fondamentale, le regole sono solo per gli idioti e per i “comunisti”. Il potere delle donne in questo caso sta nel sesso, nell’utilizzo del loro corpo, della loro bellezza per raggiungere i propri traguardi. Fanno parte del complesso sistema costruito lentamente fin dall’80, quando nasce Canale 5, esattamente come ne fanno parte gli uomini, ma le loro armi sono diverse.
Sono le protagoniste attive in questo gioco che utilizzano il sesso per ristabilire in Italia una sana differenza di genere? E sì, le donne sono diverse dagli uomini, loro hanno una vagina, la possono usare per piacere personale o per quello di altri, sono niente meno che bamboline che non hanno diritto di parola durante cene importanti, sono quelle che piangono se le loro leggi vengono bocciate in parlamento, sono carine, dolci, malleabili ma anche maledettamente attraenti, sono presenti in ogni circostanza ma devono mantenere il loro posto.

Seconda riflessione

Impressioni dalla manifestazione del 13 febbraio.
Domenica si sono svolte in diverse città italiane varie manifestazioni.
Ad organizzarle sono gruppi di donne, associazioni femminili, femministe e lesbiche, appoggiate da un ampio assortimento di associazioni culturali e politiche.
Altissimo il numero dei partecipanti.
Le donne scendono in piazza denunciando lo scandalo che ha coinvolto in questi ultimi mesi il nostro paese; accusano la classe politica italiana di essere corrotta e mafiosa, di usare il corpo femminile come moneta di scambio per ottenere facili guadagni; puntano il dito contro un modello relazionale tra uomini e donne “lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni”.
Si è ormai arrivati al limite? L’ostentato sprezzo per la figura e il corpo femminile e d’altra parte la rappresentazione costruita dal maschio del suo ruolo nella società, sono stati pubblicamente denunciati e sono stati pubblicamente rifiutati.
Finalmente si è sollevato un problema di genere!
E’ lecito però avanzare delle perplessità.
Personalmente…
Mi chiedo perché si sia dovuti arrivare ad oggi. Perché attendere l’assurdità della situazione attuale per palesare agli occhi della nazione che vi è chiaramente una discriminazione di genere nell’organizzazione del lavoro, dei compiti, dei ruoli e dei diritti in Italia.
Per la prima volta dopo molti anni abbiamo finalmente letto, su uno dei comunicati d’adesione al corteo, l’affermazione che il sistema culturale italiano è ancora patriarcale, che i diritti che si credeva fossero stati acquisiti dopo la forte spinta all’emancipazione portata avanti dai movimenti femministi negli anni ‘60 e ‘70 evidentemente non sono un dato di fatto, non si possono dare per scontati e, soprattutto, non sono ancora sufficienti a garantire un’esistenza dignitosa e soddisfacente per una donna.
Non è stato questo governo ad inventare il patriarcato (semmai ne ha astutamente sfruttato i possibili vantaggi); i differenziali retributivi esistevano prima dell’avvento di un Berlusconi sulla scena politica, così come la violenza sulla donna o la prostituzione ai vari livelli della piramide sociale (dai marciapiedi alle “stanze del potere”). Qualcuno vuole illudersi che con il prossimo governo si azzereranno i migliaia di casi di violenza domestica, che gli ostacoli alla partecipazione al mondo del lavoro e alla vita sociale saranno abbattuti?
Ho l’impressione che la critica ai comportamenti e ai costumi arrivi sì ad estendersi alla “mentalità diffusa” riguardo le relazioni, ma che poi non approfondisca le cause. Certamente tentare di ricercare un’unica radice potrebbe essere nuovamente riduttivo, ma fermarsi all’osservazione superficiale degli atteggiamenti rischia di non ottenere cambiamenti incisivi.
Inoltre…è stato fatto un distinguo tra donne “per bene” e “olgettine”.
Personalmente credo sia molto facile rischiare di scivolare in questa semplificazione: “noi che ci salviamo e che non ci siamo mai vendute - forse anche perché per condizione socio-economiche non abbiamo avuto bisogno di farlo - possiamo puntare il dito contro quelle ragazzacce che invece, per ardore e voglia di scalata sociale, si sono permesse di usare l’unico strumento a loro concesso, ovvero il corpo e il sesso”. Dove sta la responsabilità? Va bene, il libero arbitrio esiste, ma si può parlare davvero di libertà di scelta quando gli unici valori e strumenti a disposizione per costruirsi un futuro sono quelli dello scambio e ricatto economico?
Insomma, come stupirsi del fatto che i nostri politici sono avvezzi alla prostituzione quando in Italia il metodo mafioso di gestione delle istituzioni è la normalità, a partire dalla direzione degli appalti pubblici, passando per i concorsi, l’amministrazione dei comuni, delle università, degli ospedali?
Per concludere:
crediamo sarebbe interessante osservare con maggiore attenzione i diversi aspetti e le varie sfaccettature, implicate nella costituzione di un sistema culturale e politico, ostile alla partecipazione femminile alla vita sociale.
Con questo primo articolo abbiamo voluto dare spunti di riflessione da sviluppare successivamente.

Piccola digressione statistica:
Il World Economic Forum stila una classifica annuale sulle differenze di genere calcolando il
Gender Gap Index su quattro indicatori principali:
• opportunità e partecipazione economica;
• risultati nel campo dell’istruzione;
• salute e sopravvivenza;
• partecipazione attiva alla politica.
L’Italia nel 2010 ha occupato il 72° posto su 134 nazioni, preceduta da Botswuana, Kazakhstan, Cina e Vietnam.
Il rapporto sottolinea che il Bel Paese “continua ad occupare una delle ultime posizioni tra i paesi europei ed ha perso 3 posti rispetto all’anno precedente a causa dei risultati sempre più scarsi in materia di partecipazione economica delle donne”.

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