lunedì 21 febbraio 2011
Bollettino della crisi da Pavia e Provincia (n°6, febbraio 2011)
Ormai, a sostenere che siamo fuori dalla crisi non sono rimasti in molti, nemmeno dal governo. Forse hanno capito che non ci crede nessuno. I segnali di ripresa, individuabili in qualche settore, in qualche zona, si fermano ai numeri, ma non a quelli riguardanti l’occupazione. L’inizio del 2011 presenta un quadro grigio se non nero: il tasso di disoccupazione italiano continua a salire e secondo le stime una lieve ripresa occupazionale si avrà solo dal 2012. Anche chi parla di ripresa, deve aggiungere che si tratta di una “ripresa senza occupazione”. Intanto fa sempre più riflettere la situazione del mercato del lavoro a livello giovanile, con un tasso di disoccupazione arrivato al 26,2%.
Nel 2010 sono stati 55mila i licenziamenti nella sola Lombardia (+13% rispetto al 2009) ed è cresciuto ancora del 16% il ricorso alla cassa integrazione. In provincia di Pavia i licenziamenti sono stati 4600 in due anni (senza contare i contratti a tempo determinato o a progetto non rinnovati), con un aumento nel 2010. Tra novembre e gennaio agli uffici di Cisl e Cgil si sono presentati in 500 con lettere di licenziamento in mano.
La provincia di Pavia ha visto dimezzarsi tra 2009 e 2010 il ricorso alla cassa integrazione ordinaria, di norma il primo strumento messo in campo in situazioni di crisi, ma non è un caso che il 25% delle imprese della provincia abbia esaurito le 52 settimane a disposizione. La tendenza sembra comunque essersi invertita al termine dello scorso anno, con una nuova crescita della cassa ordinaria: 221mila ore a settembre, 251mila a ottobre, 340mila a novembre. Pesa il fatto che anche da settori inizialmente poco toccati dalla crisi sono iniziate ad arrivare richieste di ammortizzatori sociali: è il caso ad esempio di alcune ditte di trasporti di Pavia e Casorate Primo, delle logistiche della zona di Corteolona, Chignolo e Arena Po (200 lavoratori in cassa integrazione in questo periodo) e anche del settore agroalimentare.
È in netto aumento intanto il ricorso alla cassa in deroga, +50% con 2milioni453mila ore autorizzate l’anno scorso. Ma il dato che fa segnare l’aumento più eclatante è quello della cassa straordinaria, per la quale si è passati dalle 650mila ore autorizzate nel 2009 ai 3milioni112mila ore del 2010 (+378%). E come emerge da tantissime situazioni, quasi sempre la cassa straordinaria riguarda lavoratori di aziende che non riescono a tornare sui livelli produttivi precedenti alla crisi e che se rimangono aperte procedono a tagli al personale. Inoltre il rinnovo della cassa straordinaria in diversi casi sta permettendo a lavoratori di aziende già fallite di continuare almeno per alcuni mesi a percepire un reddito minimo prima del licenziamento.
È questo il caso dei 22 cassintegrati dell’ex zuccherificio di Casei Gerola, chiuso ormai 5 anni fa, e che hanno visto fermarsi il progetto di centrale a sorgo (che doveva garantirgli un nuovo posto di lavoro) incagliato, nonostante le mille promesse, tra le burocrazie e i diversi veti tra ministero, regione e provincia. I 22 continuano l’occupazione degli uffici di Finbieticola a Voghera e continuano a dover sperare ogni qualche mese in una proroga della cassa integrazione per non rimanere senza un reddito.
Rimanendo in Oltrepò, restano molto critiche le situazioni di diverse aziende del settore metalmeccanico: alla Brasilia di Retorbido sono un centinaio gli operai in cassa integrazione e la proprietà ha annunciato la messa in mobilità di 35 lavoratori. Un piano aziendale di riduzione del personale interessa anche la Fmc di Montebello, dove sono previsti 16 licenziamenti. Intanto alle officine Busi di Mezzanino è stata aperta la procedura di mobilità per 6 operai. Da Voghera è arrivata la notizia del fallimento (annunciato) della Salvadeo: 17 operai sono senza un reddito da luglio (dopo un anno in cassa integrazione ordinaria) senza nemmeno la richiesta di concordato preventivo per la cassa straordinaria da parte dell’azienda. La richiesta è stata da poco fatta dal curatore fallimentare e per i dipendenti ci sarà un anno di cassa straordinaria prima del licenziamento. Sono una ventina i dipendenti rimasti al lavoro alla Tanino Crisci di Casteggio, azienda calzaturiera, dopo i pesanti tagli al personale dei mesi scorsi. La situazione non sembra tranquilla nemmeno per loro visti i debiti dell’azienda e visto che Equitalia, in credito verso la proprietà, ha iniziato a vendere alcuni macchinari. Al momento le macchine restano in azienda, ma la preoccupazione rimane alta.
Per quanto riguarda la Lomellina, erano decine le imprese soprattutto del calzaturiero e del meccanico legato alla scarpa che da già da prima del 2008 chiudevano oppure delocalizzavano. In questi ultimi due anni la crisi si è aggravata e si sono visti massicci licenziamenti come nei casi della Fiscagomma e attualmente della Atom di Vigevano. Ma esempi di aziende in crisi ce ne sono un po’ da tutti i settori. Dall’inizio dell’anno sono partite altre 13 settimane di cassa integrazione ordinaria per i 70 dipendenti, in maggioranza donne, del maglificio Mapier di Lomello. La proprietà ha anche ribadito che ci saranno degli esuberi, si parla di 30 possibili licenziamenti. A marzo chiuderà formalmente la Quadra di Gambolò, con 14 dipendenti (un anno fa erano 40) messi in mobilità dopo 7 mesi di cassa straordinaria. Altra questione aperta da tempo è quella della Cablelettra di Robbio, sistemi di cablaggio per auto, amministrata da un commissario ministeriale dopo la messa in liquidazione, 200 dipendenti per i quali la cassa straordinaria scade a maggio. Sono arrivate alcune offerte per l’acquisto del gruppo e si parla in particolare dell’interessamento del gruppo giapponese Yazaki, già presente in Italia con uno stabilimento in provincia di Torino: tra le condizioni per l’acquisto c’è il mantenimento dei posti di lavoro, ma si teme che i nuovi proprietari possano chiedere ai dipendenti di spostarsi verso altre sedi.
Un caso che ha fatto discutere negli ultimi mesi è quello della Genset di Villanova d’Ardenghi, a pochi chilometri da Pavia, una delle maggiori aziende metalmeccaniche della provincia. Se ne è parlato molto sulla stampa pavese più che altro presentando il caso come una rivisitazione locale e in piccolo del ricatto di Marchionne agli operai di Pomigliano e Mirafiori (per ora). Un parallelo c’è: si chiede di rinunciare a qualcosa di acquisito (diritti o parte del salario in questo caso) in cambio di un impegno a salvare i posti di lavoro. La proprietà aveva cominciato, l’autunno scorso, annunciando 110 esuberi per il marzo 2011. Successivamente la proposta ai lavoratori, per diminuire i posti tagliati, di lasciare in azienda il “superminimo” personale e andare avanti con la cassa integrazione fino a tempi migliori. Il 90% dei lavoratori in assemblea si è espresso contro lo “scambio” proposto: troppo vaghi gli impegni dell’azienda e promesse legate a una futura, solo possibile, ripresa. Una nuova proposta della Genset è un taglio dell’8% del salario con l’impegno di limitare i licenziamenti a 38, con anche in questo caso un non ben definito impegno a riassumere eventuali licenziati. La vertenza è tuttora aperta e, con 180 persone che rischiano di perdere il posto di lavoro, non può che assumere un peso particolare per Pavia.
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