lunedì 19 aprile 2010

SERATA DI AUTOFINANZIAMENTO ALDO DICE

Mercoledi 21 aprile ore 18.30 osteria sottovento
aperitivo di autofinaziamento
serata dedicata alla situazione dei detenuti politici baschi.
per esprimere la nostra solidarietà nei confronti del popolo basco colpito quotidianamente dai soprusi portati avanti dalle autorita' spagnole e francesi
NO alla tortura,
SI all'autodeterminazione dei paesi baschi.
interverranno alla serata: i membri di E.H.L. (EUSKAL HERRIAREN LAGUNAK) della sezione di Milano

PARTIGIANI IERI PARTIGIANI OGGI

martedi 20 aprile ore 21.00 C.S.A. BARATTOLO (via dei mille130a)Pavia
Verso il 65° anniversario della Liberazione,
in difesa della memoria della resistenza
Parteciperanno:
Partigiani della brigata"Rino Balladore"
Giovanni Vecchio
Umberto Respizzi

Ugo Scagni
storico della resistenza in Oltrepo' pavese

sabato 10 aprile 2010

IL BARATTOLO RESISTE (n° 3 - aprile 2010)

Il Barattolo nasce 12 anni fa quando il collettivo Co.R.S.A.Ri., acronimo che significa Comitato per il Recupero Sociale delle Aree Riciclabili, decide di recuperare un'area dismessa in via dei Mille 130. Questa diventerà la sede del primo centro sociale autogestito a Pavia. In tutti questi anni tante cose sono cambiate, tante persone sono arrivate, altre sono partite, ci sono state collaborazioni con diversissime realtà, alcune già scomparse e molte tuttora presenti sul territorio, ma nell'inevitabile mutamento nel tempo il C.S.A. è sempre stato un punto di riferimento fisso nelle lotte per la difesa politica dei valori sociali come la lotta antifascista, antirazzista, antimperialista, contro il precariato, lo smantellamento della pubblica istruzione e tante altre, fornendo tantissime energie ed un importante supporto, anche logistico.Quest'importantissima esperienza ha vissuto molti momenti tortuosi, ma con l'arrivo a giugno 2009 della giunta Pdl-leghista sono definitivamente cambiate le carte in tavola, perchè fin dalla campagna elettorale è stata chiara la volontà di dimostrare audacia nel chiudere un simbolo importante della città di Pavia in quanto scomodo e rumoroso. E' evidentemente una buona prova di forza per una giunta che insediatasi dopo 13 anni di centrosinistra al palazzo Mezzabarba si ritrova con una faccia di sindaco 30enne con tanta voglia di dimostrare un po' di polso.Poi arriva anche la nomina a vicesindaco di Gianmarco Centinaio, uno dei più grandi nemici politici del Barattolo, leghista dal fazzoletto verde nero, amministratore del gruppo facebook "CHIUDIAMO il Barattolo a Pavia" e che ha dato diverse prove dell'assoluta malafede nei suoi atteggiamenti e comportamenti.In autunno il comune decide di fare la prima mossa: l'assessore Rodolfo Faldini convoca i rappresentanti delle associazioni firmatarie della convenzione per discutere sulla posizione della nuova giunta.Il tanto sbandierato "dialogo" non si è rivelato altro che un incontro con l'assessore che si può brevemente riassumere così: il comune non accetta l'autogestione praticata, per cui da allora in avanti si sarebbe dovuto rispettare ogni minimo cavillo della convenzione con tanto di orari prestabiliti in cui poter entrare ed in cui no, altrimenti immediata recessione della convenzione, che comunque non avrebbero avuto assolutamente intenzione di rinnovare a giugno.L'articolo sulla Provincia pavese dello stesso Faldini del 10-9-09 ci informa che tra i vari diktat c'è il divieto di fare musica dal vivo, cosa non esplicitamente vietata dalla convenzione, ma arbitrariamente decisa dalla giunta e comunicatoci mezzo stampa.Da allora il Centro Sociale per affrontare questa situazione ha iniziato un processo di unificazione di tutte le realtà e singoli che hanno sempre partecipato o si sono sentiti presi in causa, partendo con una tre giorni nei quali elaborando progetti è stato possibile conoscersi meglio e prendere confidenza verso un progetto nuovo. Nel pieno spirito dell'autogestione si è dato vita ad un assemblea gestionale unitaria, che annulla ogni distinzione di appartenenza a gruppi o associazioni, ma crea un unico organismo in grado di prendere decisioni politiche condivise grazie al metodo del consenso.Da questa assemblea nasce un'importante campagna denominata "Libera Musica In Libero Spazio" che con lo slogan "Cannot Stop The Music R-evolution" mira a creare un canale politico per poter riprenderci il diritto di fare musica e così stimolare la cultura dal basso, cosa che ci si aspetterebbe da un qualunque assessorato alle politiche giovanili.Il primo passo è stato quello di stilare un "Manifesto Della Musica Libera" che è stato sottoscritto da più di 60 gruppi del pavese e non, tra cui diversi nomi di spicco come Los Fastidios, Banda Bassotti, Punkreas, Derozer e Biska. Il manifesto firmato è stato consegnato pubblicamente al consiglio comunale previa conferenza stampa alla Provincia pavese. La richiesta era di poter effettuare al C.S.A. Barattolo la VI edizione del "Concorso Sconcertante".Già dalla prima risposta sul giornale dell'assessore Faldini viene alla luce l'impossibilità da parte della giunta di trovare un'altro posto idoneo a fare concerti se non il "Nirvana", unica discoteca a Pavia e dell'assessore Bobbio Pallavicini, ma neanche questo è sufficiente a concedere il permesso di tenere al Barattolo il concorso.Come da programma, il 6 febbraio al Centro Sociale in via dei Mille si tiene comunque il concerto di apertura e presentazione del concorso Sconcertante. In risposta per tutta la serata agenti della digos e delle forze dell'ordine hanno stanziato nel marciapiede opposto all'ingresso, mentre una pattuglia di vigili ha cercato prima di entrare per attestare che il concerto fosse in atto, ma poi ha accettato di rimanere fuori, per evitare di alimentare eventuali tensioni, dopo la verifica che il concerto era in corso e la consegna di un foglio con circa 60 firme di persone che si autodichiaravano responsabili dell'evento: si infrange così il tentativo di far morire il Barattolo di silenzio.La risposta della giunta arriva ancora mezzo stampa, ci annunciano che a giugno è sfratto, cosa già nota ma ora resa pubblica. Probabilmente ad un ignaro lettore apparirà come se noi fossimo i non dialoganti e non i ricattati, ma almeno finalmente si smette di affrontare il caso "Barattolo" come un problema amministrativo, ma diventa a tutti gli effetti un problema politico.A seguire sulla Provincia pavese alle accuse della giunta, ci sono state risposte con articoli e comunicati politici ai quali si sono aggiunti moltissimi ed apprezzatissimi attestati di stima e solidarietà da importanti enti politici, sindacali o illustri singoli.Il corteo in difesa degli spazi sociali indetto dal C.S.A. Barattolo per sabato 20 febbraio vede, in una bellissima giornata di sole, la partecipazione di più di 300 persone, e tantissime rappresentanze politiche. Passando per la città tantissimi interventi hanno toccato tematiche importanti come la speculazione edilizia che mangia le opportunità di una città, il diritto alla formazione e alla diffusione della cultura dal basso, l'antifascismo, il recente aumento delle tasse nell'università di Pavia, il significato sociale di un centro autogestito e quindi l'importanza del Barattolo a Pavia.La sera stessa si è tenuta la prima serata eliminatoria del Concorso Sconcertante e il sabato successivo la seconda, senza più la presenza di agenti che stanziavano di fronte all'ingresso, ma con le immancabili brevi visite di pattuglie di vigili.I due concerti hanno visto una vastissima partecipazione ed un grande entusiasmo sia da parte delle band emergenti sia dal pubblico che ha veramente riempito queste serate. Quest'evidente successo ha portato tante gratificazioni e tanto entusiasmo che sicuramente saranno necessari nel proseguire in questa lotta.Ma non ci illudiamo, d'ora in avanti lo scontro sarà molto duro e serviranno tutti gli sforzi possibili per difendere questo spazio sociale, ma siamo sicuri che esso ormai faccia parte del tessuto sociale di questa città, e che quindi sia importante riunire tutte le energie a disposizione per ribadire che il Barattolo non si sposterà da via dei Mille, che non lasceremo spazio alla desertificazione sociale promossa dalla giunta Abelli-Cattaneo-Centinaio. Tutta la documentazione, la petizione, la rassegna stampa, gli attestati di solidarietà etc. sono reperibili sul sito www.csabarattolo.org

LA CRISI CONTINUA A COLPIRE, GLI OPERAI A PAGARE. Cronaca dalla provincia di Pavia (n° 3 - aprile 2010)

Dicembre 2009
§ Da agosto gli operai della Sigma di Vigevano (in 93 a zero ore) ancora senza una lira della cassa straordinaria
§ Messi in cassa straordinaria 109 lavoratori su 200 alla Atom (meccano-calzaturiero, stabilimenti a Vigevano e Gambolò). Previsti 83 licenziamenti entro un anno
§ Situazione pesante per la Cablelettra, indotto auto, in amministrazione controllata: in 200 in cassa straordinaria (molti a zero ore) in attesa dei piani industriali di Marchionne. Ancora 60 lavoratori a zero ore alla Comez di Cilavegna, 65 su 191 in cassa straordinaria alla Ghibli di Dorno
§ Alla Fiscagomma sarà richiesta la cassa straordinaria e i licenziati non saranno 55 ma 46. I sindacalisti parlano di una “risposta utile e adeguata ai lavoratori coinvolti”. 46 operai dovranno trovarsi un nuovo lavoro in un territorio e in un settore devastati dalla crisi
§ Saranno un migliaio i metalmeccanici lomellini a perdere il posto nel giro di pochi mesi al termine della cassa integrazione. 300 posti già virtualmente persi tra Atom, Fiscagomma, Sigma e Panpla
§ Ancora 6 mesi di cassa per i 75 dipendenti dell’ex Casamercato di Cava Manara. Nei prossimi mesi cominceranno le assunzioni da parte del gruppo Grancasa. Si parla di 110 assunzioni tra Pavia e Alseno, ma i lavoratori in questione sono di più
§ Un muratore pavese che ha rifiutato di dare le dimissioni si vede arrivare a casa qualche giorno dopo il padrone con la lettera di licenziamento, motivata con la situazione economica dell’azienda. L’operaio ritiene la cosa ingiustificata e va in sindacato, dove il licenziamento viene giudicato “nullo e illegittimo”. La sera stessa torna a casa sua il padrone e lo aggredisce a pugni e calci
§ 21 operai licenziati per il fallimento della vigevanese VVM. Negli stessi giorni altre 6 piccole imprese tessili hanno chiuso. In primavera la Mapier potrebbe tagliare 50 posti di lavoro

Gennaio 2010
§ Relazione della prefettura: nel 2009 in provincia 3091 occupati in meno del 2008
§ Tra gennaio e novembre 2009, secondo i dati Cgil, 12milioni 586mila ore di cassa integrazione autorizzate in provincia, +418% rispetto al 2008
§ Il calzaturificio Moreschi di Vigevano avvia la procedura di cassa integrazione straordinaria a rotazione per i 330 dipendenti, dopo mesi di cassa ordinaria. Gli unici a zero ore saranno 5 operai disabili. Altro che “lavorare meno, lavorare tutti, lavorare sempre” come dice Moreschi
§ I 15 soci (di cui 5 disabili) della cooperativa Unione per il lavoro (ex-operai Necchi e Neca) rischiano di essere lasciati a casa dal comune di Pavia, per cui lavorano, legati da una convenzione. Il sindaco Cattaneo dice che costano troppo. 4 giardinieri comunali della cooperativa sono già rimasti a casa alla scadenza del contratto. Protesta dei lavoratori in consiglio comunale, a cui segue un incontro con Cattaneo, che fa marcia indietro e promette che tutti i soci attuali della cooperativa continueranno a lavorare
§ Un anno di cassa straordinaria richiesto per i 39 operai della vigevanese Cerim, dopo anni di posti tagliati (cinque anni fa i dipendenti erano 124). Nuovo periodo di cassa integrazione anche per i 90 dipendenti della Gravati
§ Si fermerà per due mesi la produzione alla Rdb di Lomello, prefabbricati in cemento, 56 lavoratori in cassa integrazione

Febbraio 2010
§ La proprietà della Riseria Europea di Ferrera Erbognone, 32 dipendenti, richiede al tribunale la messa in liquidazione e spedisce le prime 12 lettere di licenziamento. L’azione è illegale, i padroni devono ritirare i licenziamenti e aprire la procedura di mobilità, ma la sostanza cambia poco
§ Licenziamento fuori-legge per una giovane operaia vigevanese: oltre ad essere stato effettuato in un periodo di cassa integrazione, il licenziamento è illegale perché coinvolge una lavoratrice madre di un bambino sotto l’anno di età
§ Dopo un anno di cassa straordinaria per un terzo dei 100 lavoratori, ancora cassa integrazione a rotazione fino a maggio alla Record di Garlasco, materiali per l’edilizia, di proprietà della multinazionale Crh, mentre si fanno largo voci su possibili licenziamenti
§ Gli operai dell’Impero del legno, ditta fallita nel 2008, hanno ricevuto solo metà del Tfr (la parte dovuta dall’Inps). È in corso una causa per ricevere la quota dell’azienda e un indennizzo per gli straordinari pagati in modo discontinuo per 5 anni
§ Sono in netto aumento gli sfratti in tutta la provincia. La morosità riguarda soprattutto operai stranieri (ma non solo) che hanno perso il loro posto di lavoro nell’edilizia o nel meccanico

Marzo 2010
§ In arrivo una primavera di cassa integrazione per i tre quarti dei 400 lavoratori dello stabilimento di Dorno della Disano Illuminazione, dove si svolge l’intero processo produttivo
§ Sempre a Dorno, la Ghibli, produzione di macchine per pulizie industriali, avvia 15 dei 186 dipendenti (si tratta di addetti al montaggio, intorno ai 30 anni) a dei corsi per un futuro ricollocamento, in vista di probabili licenziamenti alla fine della cassa integrazione
§ Sciopero alla Merck Sharp & Dome di Pavia contro la cessione di un ramo dell’azienda. Sono 17 i lavoratori coinvolti, che vanno incontro a peggioramenti contrattuali, ma in più il timore è che questo sia il primo passo verso una ulteriore riduzione del personale dopo i continui tagli degli anni scorsi
§ Licenziamento in blocco alla Tanino Crisci di Casteggio, marchio internazionale del calzaturiero: 39 dipendenti su 45 messi in mobilità per la decisione della proprietà di non continuare la produzione nello stabilimento di Casteggio. In uno dei successivi incontri c’è un parziale passo indietro della proprietà: 20 operai continueranno a lavorare per esaurire alcune commesse, per circa un mese, e al momento continua la cassa integrazione per gli altri. Al termine di questo periodo la produzione a Casteggio potrebbe fermarsi in modo definitivo, con il licenziamento dei lavoratori
§ Dopo un anno di cassa integrazione ordinaria a 800 euro al mese, inizia la cassa straordinaria per 74 lavoratori della Molina e Bianchi di Vigevano, produzione di macchinari per il calzaturiero. I padroni però dichiarano di non avere la liquidità per anticipare i soldi della cassa ai dipendenti, come normalmente avviene, e 74 operai rischiano di passare i prossimi 5 mesi senza un reddito

CON GLI IMMIGRATI. CRONACHE DAI C.I.E. (n° 3 - aprile 2010)

I c.i.e. sono luoghi, sparsi in tutta Italia, dove vengono rinchiusi i migranti clandestini. L'introduzione di questo strumento di dominio è merito del governo di centro sinistra che, nel 1998, ha deciso di utilizzare soldi pubblici per dotare la comunità di queste strutture. Il perfezionamento e l'inasprimento delle condizioni detentive è poi toccato al centro destra: il pacchetto sicurezza varato dal razzista Maroni ha introdotto il reato di clandestinità, prolungato la detenzione da 2 a 6 mesi e reso molto più complesse le procedure per ricevere il permesso di soggiorno. Nell'Italia di oggi i c.i.e. sono, probabilmente, i luoghi in cui il potere si scaglia più crudelmente contro la libertà e la dignità umana. Pestaggi, torture, detenzione senza processo sono prassi quotidiana per chi non ha quel maledetto pezzo di carta. Inevitabilmente i c.i.e. diventano anche i luoghi in cui il conflitto si fa più radicale, lasciamo quindi la parola direttamente a chi lotta, con lo scopo di fare da cassa di risonanza a loro, rompendo il silenzio e l'indifferenza che dilagano su questo tema.


Dal 3 di marzo nel c.i.e. di via Corelli (Milano) si sta svolgendo uno sciopero della fame, questa è una parte del comunicato di rivendicazione dei migranti reclusi.

"Siamo stanchi di non vivere bene. Viviamo come topi. La roba da mangiare fa schifo. Viviamo come carcerati ma non siamo detenuti. I tempi di detenzione sono extra lunghi perché 6 mesi per identificare una persona sono troppi. Siamo vittime della Bossi Fini. C'è gente che ha fatto una vita in Italia e che ha figli qua, gente che ha fatto la scuola qui e che è cresciuta qui. Non è giusto. Non siamo delinquenti. L'80 per cento di noi ha lavorato anni per la società italiana e si è fatta il culo. I veri criminali non ci sono qui. Una settimana fa uno di noi ha cercato di suicidarsi. Poi sono arrivati i poliziotti coi manganelli per picchiarci come criminali o animali. Siamo stanchi di questa vita. Vogliamo essere liberi come dei gabbiani e volare. Però sei mesi sono troppi per un'identificazione, qui è peggio, peggio della galera.
La gente uscita dal carcere viene riportata qui altri sei mesi dopo che ha pagato la sua pena, non è giusto. La gente che ha avuto asilo politico dalla Svizzera o da altri stati in Europa e del mondo qui in Italia non li accettano, non è giusto. I motivi dello sciopero è che i tempi sono troppo lunghi e abbiamo paura perché due di noi sono morti dopo che sono stati espulsi altri sono pazzi e noi non sappiamo cosa fanno loro dopo l'espulsione, e per andare ti fanno le punture e diventi pazzo, alcuni muoiono. Entrando qui eravamo tutti sani e poi usciamo che siamo pazzi. Inoltre rimarremo in sciopero fino a che non fanno qualcosa per quelli arrestati di Torino che hanno fatto tante cose per noi e che ora son in carcere(*).
Come scrive Dante il grande poeta "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare"

(*): in questa parte i reclusi si riferiscono agli arresti e le perquisizioni effettuati a Torino contro i redettori di Macerie e Radio Black Out, compagni che sostengono da tempo le lotte nei CIE.

In questa seconda parte vengo descritte, da varie testimonianze, raccolte da dentro il c.i.e. di via Corelli, le condizioni detentive dei clandestini. Il tutto è tratto dal blog noinonsiamocomplici.noblogs.org

“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame. In ogni stanza siamo in 4 persone. I muri son pieni di muffa le lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte non vengono mai cambiato. Ogni 15 giorni ci danno un bagnoschiuma. Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per dormire. Il bagno è uno schifo. E’ molto sporco. Gli scarichi son tutti intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni in piedi. Alle 8 e mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e una brioche. Non possiamo bere le cose calde se non con la macchinetta a pagamento. Il cibo è molto scadente, ci portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo il silicone non possiamo mangiare il tacchino. Per questo a molte di noi sono venute infiammazioni alle protesi ai fianchi al seno nei glutei. Quando andiamo alla croce rossa per i nostri problemi di salute ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la tachipirina”.“Io mi chiamo [...] sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della fame perché non possiamo stare qua 6 mesi. Inoltre sono sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare quali medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno fatto saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta. Stavo così male che mi hanno portato in ospedale al policlinico per un blocco intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre senza le medicine per l’hiv. Io sono in Italia da nove anni, mi sono ammalata in Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di mantenerci e di mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la nostra libertà perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare qua dentro senza potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro una volta alla settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce di Valium o per dormire e via…poi diventiamo tutte dipendenti”.“Io ho avuto un incidente molto grave fuori da qua. Ero ancora in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al cie. Mi ero fratturata la scapola sinistra il femore e il ginocchio. Qui spesso la ferita alla gamba mi si infiamma. Vado in infermeria, mi danno una crema idratante e basta. Molte di noi sono state prese a Pisa, chi ci viene a trovare ha diritto a 7 minuti di colloquio dopo 5 ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water e nella doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci insultano dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei nostri confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica uscita la morte… Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con malattie diverse, neppure in carcere è così”.Ed una testimonianza dal reparto donne:“Mi chiamo [...] vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io avevo solo il visto come turista ma mi hanno portato in questura dove son stata 3 giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16 febbraio…beh son ancora qui. Ora dovrò uscire da questo paese come una criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per dieci anni. Chiediamo a tutti che ci ascoltino che anche se ci dicono clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una vita migliore. Stiamo facendo lo sciopero per fare capire alla gente che siamo esseri umani e abbiamo il diritto di vivere qua come tutti gli altri e che non ci possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser altri modi per ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo inferno. È veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e non vogliamo rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è lottare”.


Durante la stesura di questo giornale apprendiamo che sette ragazzi sono riusciti ad evadere dal c.i.e. Di Torino. Gioiamo e auguriamo buona libertà ai fuggiaschi, per quanto si possa essere liberi senza quel maledetto pezzo di carta...

I SANS PAPIERS PARIGINI IN LOTTA PER LA REGOLARIZZAZIONE (n° 3 - aprile 2010)

Orhan Dilber è un portavoce del collettivo turco-curdo, una delle realtà in lotta a Parigi per l’affermazione dei diritti degli immigrati clandestini, in francese i “sans papiers”. L’associazione Ci siamo anche noi lo ha ospitato a Pavia lo scorso 22 febbraio. Dilber può entrare e uscire dalla Francia essendo un rifugiato politico, perseguitato dal governo: non è un clandestino, quindi è soltanto uno dei portavoce del movimento, non ha diritti decisionali nelle assemblee e non può partecipare a molte riunioni.
L’obiettivo portato avanti dai sans papier è quello della regolarizzazione di tutti gli immigrati clandestini che vivono in Francia, al di là del loro ruolo sociale. Per questo sono nati contrasti con la Cgt, uno dei maggiori sindacati francesi: i dirigenti sindacali hanno ignorato i collettivi di sans papier e hanno puntato unicamente sui lavoratori che “possono permettersi” di scioperare, in particolare quelli che lavorano in subappalto per grosse aziende, che sono in qualche modo protetti dai dipendenti regolari organizzati. Lo sciopero è una forma di lotta adottata anche dal movimento dei sans papier, ma non deve essere l’unica: i clandestini non devono per forza essere lavoratori di categorie in cui i sindacati sono presenti, per lottare per i propri diritti. La maggior parte dei sans papier lavora nel commercio, nei ristoranti, nell’edilizia, moltissime donne come badanti per gli anziani. Molti sono disoccupati o lavorano saltuariamente, o hanno perso il posto di lavoro a seguito della crisi e sopravvivono senza nessuna protezione economica. Ci sono quelli che hanno aperto piccole attività artigianali. E oltre ai lavoratori, il movimento dei sans papier chiede la regolarizzazione per tutti gli altri, bambini e anziani, oltre a tutte le donne che svolgono un lavoro di cura della famiglia e sono fuori dal mercato del lavoro.
Un momento di svolta per il movimento si è avuto nel luglio 2009, con l’occupazione a Parigi di un grande palazzo governativo, dove attualmente vivono 3mila immigrati, di 25 nazionalità diverse. L’edificio era conteso da due enti pubblici e non era utilizzato: l’informazione è arrivata dai lavoratori degli enti, che hanno poi preso posizione contro un eventuale sgombero. In questo palazzo è stato creato il Ministero per la regolarizzazione, in opposizione al ministero ufficiale, quello “dell’immigrazione e dell’identità nazionale francese”. Oltre ai corsi di francese, al collettivo “Velorution” per il recupero e la distribuzione di biciclette, oltre a fare musica, si tengono le assemblee dei clandestini e si organizzano le manifestazioni che si svolgono ogni settimana a Parigi: o autonome o in sostegno ad altre lotte (ad esempio ultimamente i sans papier sono scesi in piazza per appoggiare lo sciopero dei postini).
La manifestazione più grande è stata quella del 12 ottobre scorso, con 12mila persone a bloccare la città e il ministro dell’immigrazione costretto a ricevere una delegazione di sans papier. Un riconoscimento legale ricercato in particolare per opporsi a una pratica criminale della polizia francese: quella di convocare nelle prefetture gli immigrati assicurando che il permesso di soggiorno è stato ottenuto. Quando gli stranieri si presentano per ritirarlo vengono fatti sparire, vengono rimpatriati senza che nessuno sappia più niente di loro. I collettivi, in risposta, hanno iniziato a presentarsi con propri membri o portavoce insieme agli immigrati convocati dalla polizia.
I sans papier sanno di non essere soli nella loro lotta, sanno di condividere la propria situazione con migliaia di immigrati, clandestini e non, negli altri paesi europei.
Non è un caso che a gennaio i clandestini parigini abbiano manifestato sotto l’ambasciata italiana per dare la loro solidarietà ai lavoratori immigrati di Rosarno, schiavizzati per anni dai loro padroni italiani, presi a fucilate e poi vittime di cacce all’uomo da parte di gruppi di “cittadini”, prima della deportazione da parte della polizia.

GRECIA. 2010: gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano (n° 3 - aprile 2010)

Da oltre un mese la Grecia è sulle prime pagine dei media europei ed internazionali. La condizione economica di Atene ha creato nel momento della rivelazione una preoccupazione diffusa in tutta l'area euro. Preoccupazione per le conseguenze di un rischio default, per la voragine nelle casse di uno stato del circuito euro: timore di contagio di altri stati-euro deboli, paura di un allargamento a macchia d'olio, dibattiti attorno al “chi” si farà carico del peso necessario per, se non sanare, salvare la Grecia.

Poco o nulla si è detto sulla storia recente del paese, su un'economia malata, corrotta e falsificata da cinquanta e più anni. E’ apparsa qualche riflessione sui dati “ritoccati” forniti da Atene durante i cadenzati steps per monitorare l'ottemperanza ai parametri di Maastricht: mancavano e mancano tutt'ora autorità europee in materia, persiste la falla di un istituto sovranazionale di controllo e armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie degli stati membri.

Al momento dello scoppio della bolla ellenica al governo c'è il Pasok di Georges Papandreou, partito socialista eletto lo scorso ottobre con il 43,94% dei voti e 160 dei 300 seggi dell'unica camera. Il Pasok non è una novità nella scena politica greca, anzi: assieme a Nea Dimokratia (destra, uscente dal governo) compone le due famiglie dei potenti che dal 1950 dominano indiscusse la scena politica.

Le famiglie partitiche si intrecciano a maglie strette con le famiglie di sangue: l'attuale premier Papandreu è nipote del suo omonimo (figura di spicco della politica greca dopo la seconda guerra mondiale) e figlio di Andreas (fondatore del Pasok e primo ministro negli anni Ottanta). Dall'altra parte, l'ultimo ministro di Nea Dimokratia, Konstantinos Karamanlis, è omonimo di suo zio, fondatore del partito; mentre uno dei possibili eredi nel partito di Karamanlis, Dora Bakogiannis (già sindaco di Atene) è figlia dell'ex primo ministro Konstantinos Mitsotakis.

L’economia greca è sommersa, i migranti sono impiegati come forza lavoro sottopagata e gravemente sfruttata. Le tasse sono poche e basse, con tassi d’evasione alle stelle: la situazione da una parte permette ai greci di consumare alla grande (case di proprietà, terreni, automobili, cellulari, consumo di alcolici e record UE di obesi), e dall'altra, inevitabilmente, limita le possibilità di intervento dello Stato. La corruzione è parte radicata e invasiva di tutti i livelli della vita pubblica, dalle mazzette per avere un posto letto in ospedale, a quelle per un permesso di costruzione, arrivando alle assunzioni di tipo clientelare nella pubblica amministrazione ai grossi scandali politico-economici.

A completare il quadro sono le (esagerate) spese militari, ulteriore zavorra nel bilancio dello Stato. Francia e Germania, principali fornitori, traggono enormi vantaggi nel vendere al governo greco armi obsolete a prezzi rincarati: il tornaconto Atene l’ottiene in ambito europeo, vendendo tanti occhi chiudersi davanti ai propri conti truccati e ritoccati, quantomeno fino allo scandalo di inizio febbraio.

Papandreou prometteva di “cambiare il paese”, di trascinarlo fuori dal pantano economico ancora nascosto ai riflettori europei, di “rimettere il Paese sui binari della ripresa e dello sviluppo” senza perdere tempo. Ma il tempo, si sa, è tiranno e la minestra riscaldata non ha tempo e forza di sfamare: anche in un arco temporale dilatato non avrebbe intrapreso la strada delle riforme radicali auspicate dal paese. Il Pasok ha contribuito alla crisi, ammalandosi di nepotismo, tangenti e falsi in bilancio: Andreas Papandreou, padre di Georges e leader del Pasok, fu promotore degli sprechi nel momento utile per sanare i conti, successivo all'ingresso della Grecia nella Cee (avvenuto nel 1981) e del conseguente afflusso di (ingenti) finanziamenti europei.

L’alternativa si era proposta agli elettori. Non di certo la compagine a struttura stalinista del Kke, ancorata ad un'interpretazione della società non aggiornata quando non obsoleta, determinata a non innovarsi in forza del 7,5% (e 21 seggi) di veterani. Il riferimento è piuttosto a Syriza, Coalizione della Sinistra Radicale fondata nel 2004, già presente in parlamento con 14 seggi (5,04% alle politiche del settembre 2007). Il suo leader, il trentaquatrenne Alexis Tsiparas, interpreta a dovere la situazione greca, parla ai giovani precari e disoccupati e agli studenti mobilitati contro le politiche del governo, senza tralasciare donne e ambientalisti, con una dialettica e un programma adeguato ad un contesto europeo neoliberista in cui la Grecia si mostra repressiva, corrotta, indebitata e priva di proposte e persino di interesse per i suoi giovani.

Se le urne non lo hanno premiato (4,6% e 13 deputati) la ragione va innanzitutto ricercata nella propaganda al voto utile, disperato e decisivo cavallo di battaglia del Pasok necessario a scalzare Nea Dimokratia e garantire quella persistente illusione di democrazia che è l'alternarsi al potere dei due maggiori partiti (ND e Pasok), veri responsabili della crisi. L'impegno teso a identificare Syriza a “rifugio dei 'casseurs' ” ha ulteriormente contribuito ad alimentare le promesse di riscatto democratico dei socialisti.

Questo per quanto riguarda le cause endogene, importanti ma non esclusive: al suo interno la coalizione è perennemente dilaniata da continui litigi tra le varie componenti, a tal punto da dilapidare in pochi mesi l'enorme consenso che aveva conseguito ponendosi come unica forze politica dialogante con i rivoltosi del dicembre 2008. Anche il suo rapporto con i movimenti è tutt’altro che ottimo, con le solite accuse di “pescare” voti e di fare da “pompiere”.

Syriza parla alla “generazione dei 700 euro” (680 euro è il minimo sindacala garantito) e a quelli (tanti) per cui 700 euro al mese sono una speranza. Parla agli studenti medi, liceali e universitari scesi in piazza nell'autunno 2008 assieme a Alexis Grigoropoulos, il quindicenne ucciso in piazza dalla polizia. Atene, Salonicco, Patrasso, Larissa, Eraklion, Ionnina, Volos, Kozani, Komotini erano in mobilitazione, occupate da migliaia di manifestanti giovanissimi (dunque non votanti) senza fiducia nei partiti e nello stato, costretti in un paese indebitato con la prospettiva di un futuro quantomeno precario, certamente privo delle aspettative che hanno caratterizzato la generazione precedente.

La rabbia si manifestò nelle strade dense di studenti affiancati dai lavoratori, radicale, incappucciata e capillare, memore dell'odio marchiato dai colonnelli, aizzato dalla repressione. Media e governo hanno avuto facili pretesti per inquinare l’informazione, riprendendo barricate, incendi e banche assediate, riducendo i fatti a un perverso “attentato contro la democrazia”, senza offrire al pubblico l’interrogativo sulle ragioni in capo alla rivolta.

Alla protesta ha fatto seguito la tornata elettorale, e al voto la speranza nel cambiamento, che ha contribuito a cancellare l'immagine di un paese messo a ferro e fuoco dai propri giovani, disperati e disillusi. A quindici mesi dalla protesta l'Europa si è accorta delle condizioni in cui versa la Grecia, portando all'attenzione pubblica lo stesso disagio manifestato dalla piazza, seppur circoscritto ai connotati economici e, sopratutto, privo di un (necessario) filo conduttore con la stessa. Il Pasok adotterà politiche economiche più austere per compiacere il creditore di turno, evitando la bancarotta ed aggravando la già drammatica situazione sociale, che vede in queste settimane dipendenti pubblici, agricoltori ed altri lavoratori agitarsi in piazza, destabilizzando un equilibrio di per sé già instabile.

E' necessario soffermarsi e comprendere che la crisi e le soluzioni proposte non sono un’esclusiva greca. In contesto europeo si parla, con un acronimo azzeccatissimo, di piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), le ultime ruote, trasandate e malate, di un’Europa complice in profonda crisi economica e d'identità. La Grecia ha solo aperto la strada, iniziando una lunga lotta sociale ed erigendo un'interessante, seppur problematica novità, Syriza, i cui connotati appaiono sconosciuti e terribilmente distanti dallo scenario politico (non solo parlamentare) nostrano.

La grande incognita è cosa succederà ora, col Pasok costretto a barcamenarsi tra le pressioni dell'UE, che ha imposto tagli indiscriminati alla spesa pubblica (iniziando dalle pensioni), e la paura che il paese si rivolti con ancor più rabbia. Probabilmente non accontenterà nessuno dei due.