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venerdì 28 maggio 2010

GRECIA: DALL’ANTIPOLITICA AL BERLUSCONISMO? La figura di Andreas Vgenopoulos e le possibili conseguenze politiche della crisi (n°4 - giugno 2010)



Dal nostro uomo a Salonicco. Il 5 maggio, in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati contro le misure economiche varate dal governo del socialista Papandreou, Atene ha visto scendere in piazza un'enorme folla di dimostranti. 100, 150, forse 200 mila persone hanno sfilato per ore lungo le vie della città, in quella che probabilmente è stata la più grossa mobilitazione popolare dalla fine della dittatura dei colonnelli nel 1974.
Ma non è per l'enorme partecipazione che verrà ricordata questa manifestazione, purtroppo: ancora prima che il corteo si sciogliesse le agenzie di stampa avevano battuto la notizia della morte di tre impiegati morti asfissiati all'interno della banca nella quale stavano lavorando, in seguito all'incendio appiccato da un gruppo di manifestanti.
Inevitabilmente l'attenzione dei media, sia greci che internazionali, si è focalizzata sulla drammatica scomparsa dei tre, due donne e un uomo, poco più che trentenni. Al di là delle prevedibili dimostrazioni di sdegno e commozione, questo tragico evento avrebbe però potuto fungere da spunto per alcune riflessioni sulla Grecia al tempo della crisi, attirando, in particolare, l'attenzione su una figura emblematica e senza dubbio rivelatrice delle trasformazioni in atto nel paese.
La banca in questione è infatti una filiale della Marfin Popular Bank, uno dei principale istituti di credito greci (e non solo, visto che pochi anni fa ha acquistato la principale banca cipriota) e parte dell'impero Marfin Investment Group (MIG). Questo gruppo finanziario, il più grande di Grecia per giro d'affari, comprendente industrie alimentai, fast-food, compagnie di traghetti (la Super Star Ferries e la Blue Star Ferries, tenete presente doveste venire in vacanza in Grecia..), la compagnia aerea ex-nazionale-ora-privatizzata Olympic Airlines (la cui parabola presenta più di una somiglianza con quella di Alitalia), catene di alberghi e ospedali privati, fa capo a tale Andreas Vgenopoulos.
Osannato come il nuovo Onassis dai suoi numerosi ammiratori, Vgenopoulos, da un paio d'anni anche principale azionista e presidente del Panathinaikos, la squadra di calcio più popolare di Atene, è un gran bell'esempio di self made man alla greca. Di formazione giuridica, per circa quindici anni è stato a capo di un importante studio di avvocati ad Atene. La svolta per lui arriva nel 1998 quando, grazie a un'ingente somma affidatagli da armatori greci e investitori arabi, fonda la società di investimenti Marfin Financial Group (cambierà nome in MIG alcuni anni dopo). Per alcuni anni la Marfin opera in borsa con successo, fagocitando società rivali e acquisendo il controllo di istituti di credito di piccole dimensioni. Questo fino al 2005, quando il capitale azionario aumenta improvvisamente grazie a un massiccio investimento da parte della Dubai Investment Group. Forte di una disponibilità di capitali senza rivali per il mercato greco, Vgenopoulos e i suoi soci arabi iniziano a lanciare OPA a destra e a manca, assumendo rapidamente il controllo di tantissime imprese.
Alla folgorante ascesa di Vgenopoulos fa da contraltare la non esaltante situazione dell'economia greca: dopo una vertiginosa e ventennale crescita economica, la quale per altro si ripercuote solo in minima parte sui salari, tra i più bassi d'Europa, la situazione inizia a peggiorare. Il primo campanello d'allarme suona nel 1999 quando, dopo anni di folli speculazioni che avevano gonfiato a dismisura il valore di molti titoli azionari, la bolla speculativa scoppia improvvisamente facendo crollare la borsa e mandando in rovina migliaia di piccoli investitori. Gli sperperi per i lavori legati ai Giochi Olimpici del 2004 e le spese dissennate del governo Karamanlis hanno poi affossato definitivamente dei conti pubblici da sempre drammaticamente in rosso, fino a quando la situazione è apparsa in tutta la sua gravità con l'insediamento del governo del Pasok nell'autunno scorso.
Corruzione e clientelismo non sono certo una novità nella gestione del potere in Grecia; hanno accompagnato il paese fin dalla fine della dittatura e sono sotto gli occhi di tutti, anche perché non tutti, ma molti, ne traggono un qualche vantaggio. In tempo di crisi, però, le colpe della classe politica dominante (i due partiti-famiglia, Pasok/Papandreou e Nea Dimokratia/Karamanlis) vengono pesantemente stigmatizzate da un'opinione pubblica desiderosa di una ventata di novità. È a questo punto che Vgenopoulos, fino ad allora estremamente schivo e lontano dai riflettori, diventa un personaggio di primo piano del dibattito pubblico greco. Inizia a rilasciare interviste a televisioni e giornali dove professa la sua fede nel libero mercato («la gioia dell'attività imprenditoriale è la libera concorrenza») come soluzione alle bustarelle e all'immobilismo dei gruppi di potere legati ai partiti che soffocano l'economia del paese. Vgenopoulos si scopre così un ottimo intercettatore degli umori popolari e si guadagna molti consensi proponendo di rendere pubblici i conti in banca e i patrimoni di tutti i ministri e parlamentari. Non disdegna di riciclare demagogicamente gli slogan della piazza quando sostiene che «la crisi la devono pagare quelli che l'hanno creata, i politici», ma moltiplica anche gli attacchi contro l'irresponsabilità della sinistra e dei sindacati nell'aizzare scioperi e proteste.
Nell'ultimo periodo, con un'opinione pubblica alla disperata ricerca di un taumaturgo capace di traghettare la Grecia fuori dalla crisi, le prese di posizione a favore di un suo impegno politico si sono moltiplicate. Il fronte pro Vgenopoulos è ampio e variegato: si va dai nostalgico-fascisti che in nome della «salvezza nazionale» invocano «i "MIG" di Vgenopoulos 43 anni dopo i tanks di Papadopoulos», a numerosi mezzi di informazione come il quotidiano, conservatore ma molto autorevole, Kathimerini, fino ad arrivare ai tifosi, organizzati o meno, del Panathinaikos o a settori della Chiesa Ortodossa, per altro non proprio disinteressati visto che un potente monastero ortodosso, già coinvolto in uno scandalo immobiliare che nel 2008 portò alle dimissioni di due ministri, possiede un discreto pacchetto di azioni della MIG. Ma è soprattutto la gente comune, i milioni di Greci non schierati politicamente, che non partecipano alle manifestazioni ma votano i due grandi partiti di governo per abitudine o interesse, ad aver individuato in lui il salvatore della patria. Secondo un recente sondaggio la maggioranza dei Greci lo vedrebbe bene al ministero dell'economia, e lo stesso sondaggio rivela l'enorme potenziale elettorale del cosiddetto "partito degli imprenditori" della cui creazione si vocifera da tempo.
La soluzione proposta da Vgenopoulos per ripianare i conti dello Stato è semplice e accattivante: oltre a paventare, senza crederci veramente neanche lui, un'uscita momentanea dall'eurozona per rilanciare l'economia tramite l'inflazione, propone di coinvolgere i suoi amici di vecchia data, gli investitori arabi, in modo da tenere lontano dalla sovranità nazionale la poco amata Unione Europea e l'odiatissimo Fondo Monetario Internazionale. Trattandosi dell'uomo che ha convinto il governo a privatizzare la compagnia aerea nazionale e, parzialmente, OTE, la società pubblica di telecomunicazioni (le azioni in quota Vgenopoulos di quest'ultima sono state però rapidamente rivendute a Deutsche Telekom, unico "neo" nella carriera di un investitore che si dichiara paladino dell'interesse nazionale) si può immaginare quale sarebbe il prezzo da pagare per un eventuale iniezione di capitali privati nel bilancio dello stato. Un prezzo probabilmente ben accetto da parte di un'opinione pubblica sfiduciata verso una classe politica e uno Stato giudicati, non del tutto a torto, incapaci di amministrare decentemente i beni del paese.
Ma in ultima analisi il motivo principale della popolarità di Vgenopoulos risiede probabilmente nell'essere riuscito a porsi come l'alfiere dell'antipolitica, l'imprenditore di successo lontano dal marcio del potere che non ha dovuto stringere alleanza con i partiti per creare il suo impero. La realtà dei fatti è però leggermente diversa. Se in questo momento l'unica forza parlamentare che lo appoggia più o meno apertamente è il partito di estrema destra La.O.S., Vgenopoulos in passato ha goduto di espliciti appoggi sia in seno al Pasok che a Nea Dimokratia, come dimostrano le prese di posizione in suo favore di vari ministri e parlamentari al momento della privatizzazione dell'OTE. Così come, quando esige di sapere «che fine hanno fatto i 120 miliardi di euro», cioè il debito contratto dal governo Karamanlis, il nostro uomo sembra essersi dimenticato che proprio quel governo ha letteralmente regalato una trentina di miliardi alle banche greche per ripianare i loro conti, e che quindi una fetta di quei soldi è finita proprio nella casse della MIG.



Ma, al di là di un indubbio fiuto per gli affari, quali sono le basi della fulminea ascesa di un uomo come Vgenopoulos, e quella, su scala minore, delle migliaia di Vgenopoulos che infestano la Grecia? A questo proposito si potrebbero magari citare le accuse di aver corrotto giornalisti e imprenditori rivali, e un atteggiamento quantomeno spregiudicato nella giungla della finanza, atteggiamento talvolta sanzionato anche da multe e condanne, di lieve entità, da parte di tribunali e organi di vigilanza. Oppure la "liberalizzazione" selvaggia verso la quale stanno andando incontro i diritti, per altro già scarsamente applicati, di moltissimi lavoratori greci, sia nel pubblico che nel privato. A proposito dei tre impiegati morti nell'incendio: Vgenopoulos non si è nemmeno preoccupato di smentire le voci su una loro precettazione forzata alla vigilia dello sciopero, con il direttore che avrebbe minacciato di licenziamento chi non si fosse presentato al lavoro in una banca dove non erano rispettate le più basilari norme di sicurezza, prime su tutte quelle contro gli incendi.
Proprio i diritti dei lavoratori, i loro salari e le loro pensioni, sono le principali vittime del piano di risanamento votato nelle ultime settimane al parlamento greco per venire incontro ai diktat di Bruxelles e dell'FMI ma anche ai desiderata dei grecissimi neoliberisti, ansiosi di ridurre la faraonica spesa pubblica greca. Giustamente vengono presi provvedimenti contro gli sperperi di un'amministrazione pubblica elefantiaca, ma contemporaneamente si usa il paravento della crisi per fare piazza pulita di stato sociale e tutele dei lavoratori.
Così le nuove misure facilitano i licenziamenti, abbassano, in media di un 20%, il reddito dei dipendenti pubblici, creano contratti di primo impiego per i giovani a poco più di 500 euro mensili, vincolano le pensioni minime (360 euro al mese che, bontà sua, per il momento il governo non ha voluto diminuire) alla buona riuscita del piano di riforma pensionistica; in altre parole, se tra un paio di anni i conti ancora non dovessero tornare si taglieranno anche quelle. Mentre invece speculatori, banchieri, investitori senza scrupoli che si preparano a delocalizzare tutto, palazzinari che anche in tempo di crisi continuano a far costruire dai muratori albanesi case su case, gli squali come Vgenopoulos che si sono arricchiti destreggiandosi nel far-west greco osservano compiaciuti senza venire praticamente sfiorati dai provvedimenti, dato che al momento non sono previsti aumenti nella tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie, ma solo dei redditi.
Difficile prevedere gli sviluppi futuri sulla scena greca, anche nel breve termine. Per il momento il governo del Pasok sembra ancora ben saldo: le proteste di piazza non sono infatti accompagnate dalla proposta di reali alternative politiche. Resta il fatto che la disaffezione della gente verso il parlamento e i partiti tradizionali non è mai stata così alta, tanto che alcuni osservatori greci iniziano a tracciare dei parallelismi con quello che è successo in Italia all'inizio degli anni '90. E chi meglio di Vgenopoulos sarebbe pronto a giocare il ruolo del Berlusconi locale? Le caratteristiche ci sono tutte, anche la mancanza di mezzi di informazione nel suo impero (la MIG si limita ad appena il 3% delle azioni della televisione Alter) è ampiamente compensata dalle solide alleanze con personaggi chiavi nel settore, come il gruppo Alafouzos, proprietario del quotidiano Kathimerini, della televisione Skai e di numerose emittenti radiofoniche.
Il diretto interessato finora ha sempre categoricamente smentito un suo ingresso in politica, anche perché si rende conto che amministrare la Grecia in questo momento è una missione disperata. Intanto però la popolarità del personaggio è evidente, ben al di là dei sondaggi, e Vgenopoulos sa di essere sulla cresta dell'onda: sicuro di sé e arrogante, non ha esitato a presentarsi alla filiale del Marfin Bank ancora fumante dalla quale erano appena stati estratti i corpi dei tre dipendenti morti. Incurante delle accuse che gli sono state urlate contro dai numerosi manifestanti ancora presenti, per altro prontamente allontanati dai lacrimogeni e dai manganelli della polizia, si è così concesso un'altra passerella sotto gli obiettivi alle telecamere. Il comunicato della Marfin Bank, un duro attacco ai «responsabili morali» della tragedia, alle «complicità politiche» di cui godrebbero gli "incappucciati" e all'arrendevolezza del governo, è poi arrivato puntuale poche ore dopo la tragedia a sottolineare una volta di più il ruolo, chiaramente politico, che Vgenopoulos intende giocare nel complicatissimo scacchiere della società greca.

martedì 25 maggio 2010

SERATA DI AUTOFINANZIAMENTO CRISI ECONOMICA IN GRECIA

SERATA DEDICATA ALLA CRISI ECONOMICA IN GRECIA
MERCOLEDI 26 MAGGIO, ORE 18e30, OSTERIA SOTTOVENTO (via Siro Comi, Pavia)
per capire perchè la crisi ha colpito proprio la Grecia, con tutte le conseguenze economico-sociali che stanno opprimendo il popolo greco, per comprendere il perchè della crisi fino ad arrivare al deficit del debito pubblico.
Interverranno alla serata:
Alberto Botta
Orsola Costantini

sabato 10 aprile 2010

GRECIA. 2010: gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano (n° 3 - aprile 2010)

Da oltre un mese la Grecia è sulle prime pagine dei media europei ed internazionali. La condizione economica di Atene ha creato nel momento della rivelazione una preoccupazione diffusa in tutta l'area euro. Preoccupazione per le conseguenze di un rischio default, per la voragine nelle casse di uno stato del circuito euro: timore di contagio di altri stati-euro deboli, paura di un allargamento a macchia d'olio, dibattiti attorno al “chi” si farà carico del peso necessario per, se non sanare, salvare la Grecia.

Poco o nulla si è detto sulla storia recente del paese, su un'economia malata, corrotta e falsificata da cinquanta e più anni. E’ apparsa qualche riflessione sui dati “ritoccati” forniti da Atene durante i cadenzati steps per monitorare l'ottemperanza ai parametri di Maastricht: mancavano e mancano tutt'ora autorità europee in materia, persiste la falla di un istituto sovranazionale di controllo e armonizzazione delle politiche economiche e finanziarie degli stati membri.

Al momento dello scoppio della bolla ellenica al governo c'è il Pasok di Georges Papandreou, partito socialista eletto lo scorso ottobre con il 43,94% dei voti e 160 dei 300 seggi dell'unica camera. Il Pasok non è una novità nella scena politica greca, anzi: assieme a Nea Dimokratia (destra, uscente dal governo) compone le due famiglie dei potenti che dal 1950 dominano indiscusse la scena politica.

Le famiglie partitiche si intrecciano a maglie strette con le famiglie di sangue: l'attuale premier Papandreu è nipote del suo omonimo (figura di spicco della politica greca dopo la seconda guerra mondiale) e figlio di Andreas (fondatore del Pasok e primo ministro negli anni Ottanta). Dall'altra parte, l'ultimo ministro di Nea Dimokratia, Konstantinos Karamanlis, è omonimo di suo zio, fondatore del partito; mentre uno dei possibili eredi nel partito di Karamanlis, Dora Bakogiannis (già sindaco di Atene) è figlia dell'ex primo ministro Konstantinos Mitsotakis.

L’economia greca è sommersa, i migranti sono impiegati come forza lavoro sottopagata e gravemente sfruttata. Le tasse sono poche e basse, con tassi d’evasione alle stelle: la situazione da una parte permette ai greci di consumare alla grande (case di proprietà, terreni, automobili, cellulari, consumo di alcolici e record UE di obesi), e dall'altra, inevitabilmente, limita le possibilità di intervento dello Stato. La corruzione è parte radicata e invasiva di tutti i livelli della vita pubblica, dalle mazzette per avere un posto letto in ospedale, a quelle per un permesso di costruzione, arrivando alle assunzioni di tipo clientelare nella pubblica amministrazione ai grossi scandali politico-economici.

A completare il quadro sono le (esagerate) spese militari, ulteriore zavorra nel bilancio dello Stato. Francia e Germania, principali fornitori, traggono enormi vantaggi nel vendere al governo greco armi obsolete a prezzi rincarati: il tornaconto Atene l’ottiene in ambito europeo, vendendo tanti occhi chiudersi davanti ai propri conti truccati e ritoccati, quantomeno fino allo scandalo di inizio febbraio.

Papandreou prometteva di “cambiare il paese”, di trascinarlo fuori dal pantano economico ancora nascosto ai riflettori europei, di “rimettere il Paese sui binari della ripresa e dello sviluppo” senza perdere tempo. Ma il tempo, si sa, è tiranno e la minestra riscaldata non ha tempo e forza di sfamare: anche in un arco temporale dilatato non avrebbe intrapreso la strada delle riforme radicali auspicate dal paese. Il Pasok ha contribuito alla crisi, ammalandosi di nepotismo, tangenti e falsi in bilancio: Andreas Papandreou, padre di Georges e leader del Pasok, fu promotore degli sprechi nel momento utile per sanare i conti, successivo all'ingresso della Grecia nella Cee (avvenuto nel 1981) e del conseguente afflusso di (ingenti) finanziamenti europei.

L’alternativa si era proposta agli elettori. Non di certo la compagine a struttura stalinista del Kke, ancorata ad un'interpretazione della società non aggiornata quando non obsoleta, determinata a non innovarsi in forza del 7,5% (e 21 seggi) di veterani. Il riferimento è piuttosto a Syriza, Coalizione della Sinistra Radicale fondata nel 2004, già presente in parlamento con 14 seggi (5,04% alle politiche del settembre 2007). Il suo leader, il trentaquatrenne Alexis Tsiparas, interpreta a dovere la situazione greca, parla ai giovani precari e disoccupati e agli studenti mobilitati contro le politiche del governo, senza tralasciare donne e ambientalisti, con una dialettica e un programma adeguato ad un contesto europeo neoliberista in cui la Grecia si mostra repressiva, corrotta, indebitata e priva di proposte e persino di interesse per i suoi giovani.

Se le urne non lo hanno premiato (4,6% e 13 deputati) la ragione va innanzitutto ricercata nella propaganda al voto utile, disperato e decisivo cavallo di battaglia del Pasok necessario a scalzare Nea Dimokratia e garantire quella persistente illusione di democrazia che è l'alternarsi al potere dei due maggiori partiti (ND e Pasok), veri responsabili della crisi. L'impegno teso a identificare Syriza a “rifugio dei 'casseurs' ” ha ulteriormente contribuito ad alimentare le promesse di riscatto democratico dei socialisti.

Questo per quanto riguarda le cause endogene, importanti ma non esclusive: al suo interno la coalizione è perennemente dilaniata da continui litigi tra le varie componenti, a tal punto da dilapidare in pochi mesi l'enorme consenso che aveva conseguito ponendosi come unica forze politica dialogante con i rivoltosi del dicembre 2008. Anche il suo rapporto con i movimenti è tutt’altro che ottimo, con le solite accuse di “pescare” voti e di fare da “pompiere”.

Syriza parla alla “generazione dei 700 euro” (680 euro è il minimo sindacala garantito) e a quelli (tanti) per cui 700 euro al mese sono una speranza. Parla agli studenti medi, liceali e universitari scesi in piazza nell'autunno 2008 assieme a Alexis Grigoropoulos, il quindicenne ucciso in piazza dalla polizia. Atene, Salonicco, Patrasso, Larissa, Eraklion, Ionnina, Volos, Kozani, Komotini erano in mobilitazione, occupate da migliaia di manifestanti giovanissimi (dunque non votanti) senza fiducia nei partiti e nello stato, costretti in un paese indebitato con la prospettiva di un futuro quantomeno precario, certamente privo delle aspettative che hanno caratterizzato la generazione precedente.

La rabbia si manifestò nelle strade dense di studenti affiancati dai lavoratori, radicale, incappucciata e capillare, memore dell'odio marchiato dai colonnelli, aizzato dalla repressione. Media e governo hanno avuto facili pretesti per inquinare l’informazione, riprendendo barricate, incendi e banche assediate, riducendo i fatti a un perverso “attentato contro la democrazia”, senza offrire al pubblico l’interrogativo sulle ragioni in capo alla rivolta.

Alla protesta ha fatto seguito la tornata elettorale, e al voto la speranza nel cambiamento, che ha contribuito a cancellare l'immagine di un paese messo a ferro e fuoco dai propri giovani, disperati e disillusi. A quindici mesi dalla protesta l'Europa si è accorta delle condizioni in cui versa la Grecia, portando all'attenzione pubblica lo stesso disagio manifestato dalla piazza, seppur circoscritto ai connotati economici e, sopratutto, privo di un (necessario) filo conduttore con la stessa. Il Pasok adotterà politiche economiche più austere per compiacere il creditore di turno, evitando la bancarotta ed aggravando la già drammatica situazione sociale, che vede in queste settimane dipendenti pubblici, agricoltori ed altri lavoratori agitarsi in piazza, destabilizzando un equilibrio di per sé già instabile.

E' necessario soffermarsi e comprendere che la crisi e le soluzioni proposte non sono un’esclusiva greca. In contesto europeo si parla, con un acronimo azzeccatissimo, di piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), le ultime ruote, trasandate e malate, di un’Europa complice in profonda crisi economica e d'identità. La Grecia ha solo aperto la strada, iniziando una lunga lotta sociale ed erigendo un'interessante, seppur problematica novità, Syriza, i cui connotati appaiono sconosciuti e terribilmente distanti dallo scenario politico (non solo parlamentare) nostrano.

La grande incognita è cosa succederà ora, col Pasok costretto a barcamenarsi tra le pressioni dell'UE, che ha imposto tagli indiscriminati alla spesa pubblica (iniziando dalle pensioni), e la paura che il paese si rivolti con ancor più rabbia. Probabilmente non accontenterà nessuno dei due.

LA RIVOLTA IN GRECIA E IL RICORDO DI ALEXIS GRIGOROPOULOS (n° 1 - luglio 2009)

A dicembre 2008 è scoppiata in Grecia una rivolta dei giovani che ha scosso non solo quel paese ma tutta l’Europa. In parecchi paesi sono state organizzate subito proteste contro l’assassinio dello studente Alexis Grigoropoulos da parte di un poliziotto, e in solidarietà con il movimento greco.
L’omicidio di Alexis è stato un fulmine per tutta la rabbia accumulata nella società greca, soprattutto dai giovani, che affrontano una situazione economica, sociale e politica molto simile a quella italiana.
Alexandros Grigoropoulos (Alexis) è stato assassinato davanti ad un bar del centro di Atene durante la serata del 6 dicembre dell’anno scorso. Il poliziotto responsabile ha dichiarato che non aveva l'intenzione di ucciderlo, che il fucile aveva fatto cilecca e che la pallottola ha colpito il marciapiede o un muro prima di ammazzare Alexis. Comunque, testimoni oculari affermano di avere visto il poliziotto (una ‘guardia speciale’) bersagliare il 15enne.
L’omicidio ha provocato una risposta di massa dei giovani e di tutta la società. La notte stessa dell'accaduto migliaia di persone si sono radunate in ogni città. Il giorno dopo e durante tutti i giorni successivi in decine di migliaia sono scesi per strada a protestare. Gli studenti hanno immediatamente occupato le università. Nelle scuole medie e superiori gli studenti si sono rifiutati di andare in classe. Ogni giorno hanno organizzato presidi e manifestazioni. Decine di questure sono state circondate da studenti che denunciavano l'assassinio.
La polizia ha represso le manifestazioni utilizzando armi chimiche come il gas lacrimogeno per mantenere il controllo delle masse. Il ministro dell’Istruzione è stato costretto a interrompere le lezioni e ad organizzare gite, picnic e visite educative per distrarre l'attenzione degli studenti dalle proteste e per allontanarli dalle manifestazioni. Scontri giornalieri sono scoppiati fra giovani e polizia. Più importante, però, è stato l’ampio sostegno dell’intera società alla lotta della gioventù. A più riprese la gente comune ed i pensionati hanno gridato e gettato oggetti dai balconi contro la polizia che inseguiva i giovani. Per proteggere i giovani e per solidarizzare, la gente si è intromessa fra loro e la polizia.
È’ evidente che l'assassinio isolato non avrebbe creato un disagio sociale e una rivolta della gioventù di questa ampiezza. Ci sono cause molto più profonde, radicate nelle condizioni sociali che affrontano la gioventù e la classe lavoratrice.