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sabato 17 dicembre 2011

N°7, dicembre 2011 - Profit Before People. Contro la chiusura e i licenziamenti, presidio permanente alla Elnagh di Trivolzio

142 operai a casa, anni di esperienza e competenza acquisiti sul campo sacrificati sull’altare del profitto. Quando la crisi diventa una scusa e la distruzione di un’impresa funzionante viene definita ristrutturazione c’è qualcosa che non funziona nel linguaggio. Non ne siamo stupiti, chiariamoci. E’ il capitalismo, bellezza. Quando però ci troviamo di fronte famiglie con quattro figli, operai a cui mancano tre anni alla pensione e giovani sbattuti in mezzo ad una strada la rabbia è molta, ma è la razionalità che deve prendere il sopravvento, è la nostra capacità di opporci ai piani di questi sciacalli. Sciacalli sì, così li chiamano gli operai licenziati e non potremmo certo trovare un termine migliore.

Proviamo quindi a fare un po’ di ordine e a capire come si è arrivati alla chiusura della fabbrica e al licenziamento collettivo degli operai. La Elnagh nasce sessanta anni fa, fondata dall’ingegner Ghezzi. Col tempo la produzione aumenta e la fabbrica si impone come uno dei leader all’interno del settore per il mercato italiano ed europeo. La macchina aziendale funziona fino alla costituzione della Sea (società europea di autocaravan), nata dalla fusione di Elnagh con i marchi Mobilvetta e McLouis. La nuova società inizia un piano di ristrutturazione e “ammodernamento”. La richiesta annua in quel periodo si aggira intorno ai 3500 veicoli l’anno e tre impianti produttivi fanno fronte a questa domanda. Sempre in questo periodo la Sea decide la fusione con i marchi Mobilvetta e McLouis, ma è da qui che parte il declino inarrestabile. Non tutto però è inspiegabile, il piano inclinato sul quale l’azienda è velocemente scivolata è stato ben oliato dalle scelte di manager e amministratori delegati pagati fior di quattrini. Dopo l’acquisizione da parte di Sea e gli investimenti fatti, gli obiettivi che i padroni proclamano ai quattro venti sono di 10000 veicoli l’anno, per un aumento di 6500 rispetto a quelli prodotti in quel periodo. Per capire la loro credibilità e le loro capacità basti pensare che negli ultimi tre anni sono stati venduti 13500 veicoli, all’incirca 16500 camper in meno di quelli previsti. Sea nel 2004 passa sotto il controllo di Bridgepoint, un fondo di private equity, ossia un' attività di investimento che acquisisce imprese di medie dimensioni impiegando capitali raccolti tra investitori istituzionali e ricorrendo a elevati livelli di indebitamento. L'obiettivo dei private equity è quello di ristrutturare le imprese acquisite, allo scopo di poterle successivamente rivendere e di ottenere così rendimenti superiori rispetto ad altri tipi di investimento. Dopo questi cambiamenti nella proprietà le scelte dell’azienda risultano quantomeno discutibili e tutte orientate alla chiusura dello stabilimento lombardo. Di tre anni fa è la decisione di vendere il capannone storico di proprietà, situato a Zibido San Giacomo, per trasferirsi in un nuovo spazio a Trivolzio pagando un affitto ed eliminando due terzisti che lavoravano insieme a questo polo. A ciò segue lo spostamento di alcuni macchinari utilizzati per il montaggio delle fiancate, costringendo gli operai al sollevamento di queste e alle conseguenze fisiche di ciò. Tutto ciò con un piano d’ investimento folle senza un minimo legame con la flessione del mercato che stava avvenendo negli anni passati e continua tuttora.
Uno dei responsabili dei licenziamenti è Maurizio de Costanzo ex amministratore delegato della Pisticci Cfp, di cui nel 2007 fece chiudere lo stabilimento di Pisticci dove lavoravano 68 persone. Per dare qualche numero che conta basta pensare che dopo un anno solo il 13% di quei dipendenti aveva trovato un’altra occupazione. L’azienda avrebbe inoltre utilizzato le loro conoscenze, frutto del lavoro di anni, per testare prototipi che saranno prodotti a Poggibonsi. Il cerchio a questo punto si chiude e possiamo tracciarlo così: creare le condizioni per far fallire un’azienda, piazzare un amministratore delegato “esperto in fallimenti”, rubare le competenze ed il marchio storico e alla fine lasciare 142 persone senza un lavoro. Un bel regalo di Natale per le famiglie e gli operai che da anni si sacrificano dentro a quello stabilimento.
Ciò che resta alla fine di questa storia è una fabbrica vuota, 142 operai capaci di farla funzionare, certamente meglio dei dirigenti, a presidiare i cancelli e una marea di famiglie senza più un reddito. La morale che questa vicenda ci consegna parla di precarietà come denominatore comune per tutti i lavoratori, da chi ha un contratto a tempo indeterminato a chi subisce i ricatti sottostanti alle nuove tipologie contrattuali. Da sempre diciamo che solo la lotta paga, noi resisteremo al loro fianco fino all’ultimo giorno, un minuto più del padrone.

Per scaricare questo numero di "Aldo" in pdf: http://www.movimentopavia.org/index.php?option=com_content&view=article&id=104:connettere-le-lotte&catid=80:lavoro-non-lavoro-approfondimenti

N°7, dicembre 2011 - Siamo tutti precari

Negli ultimi mesi sui lavoratori italiani si è abbattuta una serie di stangate (prima con le due manovre di Tremonti e in questi giorni con la manovra del "tecnico salvatore della patria" Monti) In questo modo lavoratori e pensionati pagheranno tre volte la crisi: con le tasse e il taglio delle pensioni, con la perdita del posto di lavoro gli uni, con il venir meno di una serie di garanzie sindacale frutto dei decenni precedenti, gli altri.
Debole e inefficace la risposta dei sindacati tradizionali che in passato hanno svenduto per il piatto di lenticchie della concertazione non solo il salario, ma anche una tradizione di lotta e di organizzazione.
Il governo Monti è un burattino nelle mani della BCE, del FMI e delle grandi istituzioni finanziarie internazionali che detenengono consistenti quote dei titoli del debito pubblico italiano. Goldman Sachs, Deutsche Bank e affini impongono politiche di austerità e di privatizzazione dei beni comuni dietro la minaccia del fallimento dello stato italiano.
E' in questo senso che in un quadro altrimenti abbastanza desolante emergono numerosi esempi positivi a cui è dedicato questo numero di "Aldo": cooperative Esselunga, varie fabbriche metalmeccaniche e non solo, call center, precari della cultura e dell'arte, diverse realtà produttive di tutta la provincia di Milano e non solo sono impegnate in lotte piccole o grandi, contro chiusure, contro salari da fame e condizioni disumane di lavoro.
Il capitale per riprodursi ha bisogno del lavoro di queste donne e di questi uomini e se li tratta come oggetti usa e getta il risultato sono nuove generazioni che si radicalizzano, usano tutte le forme di lotta per difendersi, dal classico sciopero con picchetto a salire sulle torri.
La più grande debolezza in questo momento è la frammentazione di queste lotte. Ma spontaneamente questi lavoratori cercano di coordinarsi, di collegarsi, di sostenersi a vicenda con la presenza ai presidi, ai picchetti, con incontri ecc. ricostruendo dal basso la solidarietà operaia.
Mentre Monti ancora una volta chiama al "senso di responsabilità", alla "solidarietà nazionale" facendo pagare i soliti noti, si ricostruisce la sola solidarietà che riconosciamo ed è quella fra chi e per chi lavora. Può sembrare poco, ma non lo è. E' un inizio. Chi non si arrende, chi non accetta le regole del loro gioco, sta già costruendo in positivo una alternativa!

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N°7, dicembre 2011 - Non solo Elnagh. Bollettino della crisi in provincia di Pavia

Se una risposta ai licenziamenti come quella degli operai della Elnagh non si vedeva da tempo in provincia di Pavia, purtroppo non mancano situazioni altrettanto pesanti. La difesa del proprio lavoro è sempre più una necessità vitale in un territorio con 5mila operai in cassa integrazione e con 250 licenziamenti al mese. Da quando è iniziata la crisi, 7mila persone sono state licenziate in tutta la provincia, senza contare i precari semplicemente avvertiti di non ripresentarsi al lavoro alla scadenza del contratto. Proviamo qui a sintetizzare alcune situazioni di aziende che chiudono o licenziano emerse negli ultimi mesi: in certi casi è la crisi a colpire, in altri è usata come pretesto per licenziare, chiudere e delocalizzare.
A pochi chilometri dalla Elnagh è in liquidazione la Cagi di Motta, con 70 operai e operaie che sperano che qualcuno rilevi la fabbrica, altrimenti ci sarà il licenziamento per tutti. A Pavia sta finendo la cassa integrazione a disposizione della Bergonzi, dove per 40 anni si sono fatte macchine utensili e dove adesso sono in 23 a rischiare il lavoro. Alla Da Lio di Copiano dopo lunghe trattative è stata rinviata la chiusura e richiesta la cassa straordinaria per un anno per i 37 operai. In Oltrepò il 2011 ha visto una serie di fallimenti più o meno annunciati: 33 operai a casa alla Smc; gli ultimi 20 lavoratori in cassa straordinaria alla Crisci di Casteggio, storico marchio di scarpe con negozi nelle vie dello shopping di Milano, Parigi e New York; 17 licenziati alla Salvadeo. Un mese fa la Zonca ha deciso di esternalizzare la produzione di lampadari, mettendo 16 operai in cassa straordinaria per un anno prima della mobilità. La proprietà irlandese della Ardagh vuole chiudere la fabbrica e portare il lavoro (ma non i lavoratori) a Cassolnovo: almeno 20 dipendenti su 38 vanno verso il licenziamento. Un altro gruppo multinazionale, la spagnola Oleo, chiuderà la Carapelli di Voghera spostando 50 operai a Inveruno, obbligandoli a un tragitto di quasi 200 chilometri al giorno, mentre in 22 perdono il lavoro. Una situazione simile la vivranno gli operai della Cablelettra di Robbio, o meglio chi di loro non ha già perso il posto. L’azienda (in fallimento) è stata rilevata dalla Yazaki, che ha bisogno di 80 operai ma a Torino, dove saranno accompagnati ogni giorno da un pullman aziendale. Gli altri 120 dipendenti della ormai ex Cablelettra avranno due anni di cassa integrazione prima del licenziamento. Sempre in Lomellina ci sono appena stati 50 licenziamenti alla Record di Garlasco. Il gruppo Magnetti ha rilevato a gennaio l’azienda già da tempo in crisi, ma soltanto per chiuderla, lasciando un polo espositivo dove lavoreranno in 12 su 74. Segnaliamo poi il caso della Maica di Sartirana, camiceria dove 20 operaie hanno iniziato a scioperare per avere gli stipendi arretrati e sono ora state messe in cassa integrazione.

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N°7, dicembre 2011 - Il trasporto è un bene comune. La lotta dei lavoratori dei treni notte licenziati

Dallo scorso 11 dicembre circa 800 persone impiegate nel servizio treni notte sono senza lavoro. A queste andranno a sommarsi altre 200 persone dell'indotto. Solo per la provincia di Milano sono dunque coinvolti quasi 200 lavoratori.
Trenitalia ha deciso di tagliare i treni intercity a lunga percorrenza con servizio cuccette. Le lavoratrici e i lavoratori delle compagnie appaltatrici si ritrovano dunque senza un lavoro. Si tratta dei dipendenti ex Wagon Lits, ossia delle società Servirail, che gestisce i collegamenti nazionali, della Wasteels, che cura i collegamenti internazionali, della Rsi, che si occupa della manutenzione, e della Italmultiservizi, che appronta le cuccette. A questi lavoratori vanno sommati anche quelli della Iscot, la ditta appaltatrice della pulizia di tutti i treni intercity, che ha annunciato dei tagli al personale a causa della soppressione dei notturni.
I lavoratori non sono stati a guardare: l'8 dicembre a Roma Termini un blitz ha ritardato la partenza dei treni notturni. Il giorno dopo, sempre a Roma, i lavoratori hanno bloccato il traffico automobilistico sotto la sede di Trenitalia, mentre un altro blitz ha bloccato i Frecciarossa in partenza da Torino Porta Nuova e a Napoli e a Messina alcuni binari sono stati occupati a singhiozzo. A Milano, invece, tre dipendenti sono saliti sulla torre faro della stazione centrale. Tra loro, Giuseppe Gison, residente a Pinarolo Po (Pv), dipendente Servirail come sua moglie Silvia Meoli. Subito i compagni di lavoro hanno costituito un presidio in fondo al binario 23, sotto alla torre. L'11 dicembre, prima giornata senza lavoro, un corteo interno, con la partecipazione di mogli e figli dei licenziati, ha attraversato Milano Centrale. I 3 sono ancora oggi sulla torre e il presidio di Milano continua. Nel frattempo, ci sono stati scioperi dei lavoratori degli appalti in solidarietà con la lotta dei licenziati ex Wagon Lits, e se ne prevedono altri.
Wagon Lits era, un tempo, il fiore all'occhiello degli appalti di Trenitalia: si pensi che negli anni '80, per farsi asssumere in Wagon Lits, i ferrovieri si licenziavano dalle FS. Alla situazione odierna si è giunti perché Trenitalia, alla scadenza dei vecchi appalti, ha fatto una nuova asta, così al ribasso da spingere Wasteels a non presentarsi e Servirail a non ottenere il contratto. Da qui la decisione delle due aziende di licenziare tutti. Questa gara d'appalto di Trenitalia si inscrive in un piano generale volto alla soppressione dei servizi universali come i treni notte e al potenziamento del segmento di Frecciarossa.
Così facendo, l'amministratore delegato Moretti, oltre a lasciare a casa centinaia di lavoratori, ne obbliga molti di più a pagare i biglietti salati dell'alta velocità per recarsi dal Norditalia a Roma e da qui cambiare treno alla volta del Sud. In termini di prospettiva, si assisterà all'intasamento dello snodo ferroviario di Bologna e a una doppia spaccatura dell'Italia: una spaccatura geografica tra Nord e Sud, e una di classe, con i lavoratori letteralmente segregati da apposite griglie di separazione nei vagoni della istituenda quarta classe dei Frecciarossa.
Moretti agisce così per prepararsi alla concorrenza di NTV, la nuova compagnia privata di Montezemolo. Questi sono dunque gli effetti della privatizzazione dei trasporti ferroviari: licenziamenti dei lavoratori e tagli ai servizi per le classi subalterne. Per questo occorre sostenere la lotta dei licenziati ex Wagon Lits: essa ci permette di difendere il diritto alla mobilità così come i referendum lo hanno fatto con l'acqua. Come dicono i lavoratori del presidio di Milano, il trasporto è un bene comune.

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N°7, dicembre 2011 - Jabil. I finanzieri chiudono, gli operai occupano

Dalla mattina di giovedì 12 dicembre lo stabilimento di Jabil di Cassina de Pecchi è occupato per impedire la chiusura dello stesso da parte della proprietà ed il conseguente licenziamento di più di 300 operai. L’azienda è stata sigillata dalla dirigenza giovedì 8 dicembre, approfittando del ponte dell’Immacolata, ma questo grave gesto è solo l’ultimo atto di una lunga serie tra quelli messi in campo per poter fare cassa dalla chiusura della ditta, dalla vendita dei macchinari e dalla delocalizzazione della produzione.
La fabbrica di Cassina produce e fa assistenza per ponti radio (tra i committenti c'è anche l'esercito italiano), lampioni led di ultima generazione, e persino parti di macchinari per la ricerca oncologica.
Più di 4 anni fa passa sotto il controllo della joint venture tra Nokia e Siemens che da vita a Nokia Siemens Networks Italia (NSN). In questo lasso di tempo, tra incentivi all’esodo (700/800 persone), mobilità, cessione delle produzioni e di attività definite dall’azienda non strategiche, 2000 lavoratori sono stati espulsi, i dipendenti quindi sono passati da 3000 a 1000. Nel gennaio 2008, a seguito di una durissima vertenza che vede gli operai opporsi all’esternalizzazione delle produzioni, è stata raggiunta un’intesa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la quale NSN si impegnava a mantenere in piena attività i siti italiani e potenziare la Ricerca e Sviluppo, a garantire l’occupazione ed ad affidare a Jabil (multinazionale Americana acquisitrice dei reparti produttivi) i nuovi prodotti e le nuove prototipazioni. Jabil si impegnava a garantire i livelli occupazionali e il mantenimento e il rilancio industriale dei siti. NSN avviava la produzione di un nuovo prodotto in una ex fabbrica Siemens in Germania ed ha approntato un nuovo sito produttivo in India.
Nel frattempo nei siti italiani è stata perseguita una politica di ridimensionamento dei ricercatori e il taglio del personale che si occupava della commercializzazione all’ estero. Una parte del prodotto molto importante e settori strategici delle attività di ricerca è stata trasferita a Shangai, dove è stato creato un polo di ricerca e sviluppo che ad oggi dopo due anni dall’ apertura occupa più di un centinaio di ricercatori.
A maggio 2010, nonostante gli accordi, NSN cede il sito di ricerca e sviluppo per la parte di radiomobile a Cinisello Balsamo dove lavoravano circa 900 persone, tra collaboratori esterni e dipendenti.
Sempre a metà 2010 Jabil vende a Competence (società del fondo private equity Mercatech) i siti produttivi italiani. Competence totalizza in soli 7 mesi ben 70 milioni di euro di debiti oltre ad aver bruciato i 50 milioni di euro che erano stati forniti come “dote” da parte di Jabil. Da rilevare è che il rappresentante legale delle due società coinvolte nel rapporto di compravendita era la stessa persona. A seguito dell’udienza del Tribunale di Milano che avrebbe dovuto sancire lo stato di insolvenza di Competence, con la conseguente messa in amministrazione straordinaria, Jabil inaspettatamente ritorna proprietaria dell’intero pacchetto azionario di Competence. Oggi Jabil è intenzionata a chiudere lo stabilimento e licenziare tutti gli operai che ci lavorano.
La scelta della multinazionale di cedere le produzioni, scorporare parti considerate non strategiche, trasferire parte della ricerca a Shangai cancellerà un patrimonio industriale e professionale che per oltre mezzo secolo ha portato l’azienda ad essere leader mondiale del mercato delle telecomunicazioni.
I lavoratori in occupazione sono determinati a non arrendersi alle speculazioni, sanno bene che la chiusura non dipende dalla mancanza di clienti o mercato.
Il caso di Cassina de Pecchi è un evidente esempio di come la finanziarizzazione del sistema produce la precarizzazione dei rapporti lavorativi e delle vite di quel 99% della popolazione escluso dalle dinamiche speculative dei mercati finanziari.

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N°7, dicembre 2011 - Vuoi far valere i tuoi diritti? Licenziato! Logistica Esselunga di Pioltello: 15 lavoratori licenziati, 7 sospesi

Capita spesso che quando si parla di cooperative si pensi una forma di lavoro mutualistico, con pari condizioni per i lavoratori: purtroppo il capitalismo è riuscito a capovolgere a proprio favore questa struttura organizzativa di lavoro. Infatti spesso i lavoratori delle cooperative non fanno riferimento al contratto collettivo nazionale ma al regolamento interno della cooperativa che spesso contiene norme di ricatto e antisindacali, gli orari di lavoro sono flessibili, infatti il lavoro è per lo più a chiamata, spesso le ferie sono “forzate” e non retribuite, i ritmi di lavoro sono pesanti e ciò comporta anche il non rispetto dei regolamenti sulla sicurezza; la gran parte dei lavoratori delle coop sono immigrati e quindi facilmente ricattabili.
Ma proprio attorno a queste condizioni lavorative negli ultimi anni si sono sviluppate delle lotte spesso vincenti organizzate attorno al sindacato S.I. Cobas, ultima in ordine temporale è quella nata nei magazzini Esselunga di Pioltello, magazzino dove passa la maggior parte delle merci vendute nei punti vendita del nord Italia.
Il proprietario di Esselunga è Bernardo Caprotti che tende da sempre ad escludere qualsiasi tipo di sindacato che lotti dai suoi magazzini e supermercati dove vige un regolamento da “caserma”. Venerdì 7 ottobre gli operai del consorzio SAFRA (che lavora per Esselunga) di Pioltello hanno scioperato picchettando l'ingresso e riuscendo a bloccare parzialmente i magazzini del reparto drogheria: lo scopo dello sciopero era di ottenere migliori condizioni lavorative come l'adozione e il rispetto del C.C.N.L., il rispetto delle regole sulla sicurezza, ritmi di lavoro sostenibili, l'allontanamento dei capi che schiavizzano, la cessazione dei continui furti di ore dalle buste paga, il diritto alla rappresentazione sindacale e contro i licenziamenti politici. Per tutto questo 15 operai sono stati licenziati. Da ciò nasce uno sciopero ad oltranza con presidio, man mano che passa il tempo aumenta il coinvolgimento degli operai del consorzio che scioperano (si arriva fino al 85%), a questo punto il consorzio si vede obbligato ad incontrare gli operai; in questo incontro si affronta anche la questione dei 40 provvedimenti disciplinari (tra cui l'estromissione dei delegati S.I. Cobas), ma l'intenzione del consorzio è chiara,ovvero non ha intenzione di trattare ribadendo il suo potere assoluto nelle relazioni sindacali. Intanto arriva la prima intimidazione, un operaio che torna a casa dal picchetto viene aggredito dal capo De Siena, la prognosi per l'operaio è di 7 giorni, mentre per De Siena scatta la denuncia.
Esselunga e SAFRA passano allora al crumiraggio organizzato allargando l'appalto di Alma, portando così al magazzino persone esterne, e nello stesso tempo continuano a minacciare di licenziamento gli operai scioperanti; intanto arrivano altre 7 lettere di licenziamento sotto forma di provvedimenti disciplinari: continuando a mostrare la propria forza arrogante SAFRA ed Esselunga cercano di estromettere i Cobas dal proprio interno, allo stesso tempo fanno delle concessioni che sembrano degli specchietti per allodole, allontanando i capi più odiati e concedendo la remunerazione delle pause brevi; queste concessioni sembrano destinate ad esser eliminate una volta rientrato lo sciopero. Allora gli operai decidono di iniziare una campagna di boicottaggio ai danni di Esselunga con volantinaggi in vari punti vendita, nasce anche una cassa di resistenza per sostenere chi sciopera, viene convocato un nuovo sciopero per il 17 novembre con l'intenzione di estendere la mobilitazione anche agli operai di altre cooperative.
Intanto gli operai del consorzio SAFRA sospendono lo sciopero ad oltranza. Lo sciopero del 17 novembre riesce nel suo intento e il blocco risulta totale, i danni stimati per l'azienda sono ingenti. Intanto cresce il numero di persone solidali con gli operai. La situazione rimane immutata e si decide di rilanciare altre due giornate di sciopero per il 26 e 27 novembre sui reparti che riguardano il “fresco”; ma nel primo pomeriggio del 27 viene attuata un'altra intimidazione da parte dei padroni, infatti davanti al presidio si presentano il presidente del consorzio SAFRA (il sig. Longo), uno dei capi reparto del magazzino salumeria e una cinquantina di persone estranee alle attività presso Esselunga: il sig. Longo avanza alla testa della cordata su un'auto dirigendosi dritto verso il picchetto cercando lo scontro fisico con gli scioperanti; lo scontro fisico premeditato risulta inevitabile e alcuni crumiri riescono ad entrare (ricordiamo che il presidio non ha mai esercitato nessun atto di violenza nei confronti di chi voleva entrare a lavorare, ma ha sempre puntato su un azione di convincimento). Va fatta notare l'assenza delle “forze dell'ordine” che però si presentano la sera durante l'assemblea e perquisiscono il presidio. La situazione non cambia, anzi sembra che il padrone abbia deciso di passare alle maniere forti: allora si decide di rilanciare uno sciopero con corteo cittadino per il 10 dicembre; al corteo partecipano un migliaio di persone, tra cui molti lavoratori delle cooperative, lavoratori e cittadini solidali e operai di altre fabbriche in lotta come la Jabil di Cassina de Pecchi e la Fiat di Torino; per tutto il percorso sono state ricordate le rivendicazioni che si stanno portando avanti nei magazzini Esselunga di Pioltello, sono state ricordate anche le responsabilità di Caprotti che cerca di sfuggire a un confronto. A seguire si è svolta un assemblea pubblica dove si è deciso un ulteriore blocco del reparto “drogheria” per domenica sera. Anche questa volta la risposta dei padroni non si è fatta attendere e sono partite subito telefonate da parte dei caporali che esortavano a ripetere un attacco crumiro come quello del 27 novembre, intanto un nutrito drappello di “forze dell'ordine” si è fatto largo tra il presidio (facendo volare qualche manganellata gratuita) e riuscendo a far entrare alcuni operai a lavoro, anche se la maggior parte degli operai hanno deciso di non entrare a lavorare. Intanto è stata lanciata un'altra mobilitazione generale davanti al punto vendita Esselunga di Pioltello per il 24 dicembre.
Tutto quello che possiamo fare in questo momento è essere solidali con questi operai, perché non dobbiamo dimenticarci che le loro lotte sono anche le nostre: infatti con la scusa della crisi finanziaria i padroni stanno provando ovunque a togliere i diritti conquistati dagli operai in anni di lotte (l'esempio più lampante è quello di Marchionne alla Fiat); questa lotta risulta ancor più importante perché portata avanti da lavoratori immigrati che spesso vengono accusati ingiustamente di “rubarci” il lavoro perché non chiedono diritti quando invece è la potenza delle lobby miliardarie e affaristiche che fanno di tutto per non dargliene e riescono a far tacere le loro voci anche sui mezzi di stampa. Anche per questo crediamo che sia importante la costruzione di iniziative unitarie con altre realtà lavorative del territorio metropolitano per creare un fronte comune a partire da lotte reali, quindi per quanto ci riguarda saremo sempre al fianco di chi lotta per far valere i propri diritti.

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